Gli italiani sono ricchi, lo sapevate? Scommettiamo che se parlate col vicino, il conoscente o l’amico avrete invece tutt’altra informazione?
Ma è proprio così, perché sui conti correnti degli italiani sono depositati, all’ultima rilevazione di Bankitalia, poco più di 10.000 miliardi di euro. Per i nostalgici della lira fanno quasi 200.000 miliardi del vecchio conio.
Una ricchezza immobilizzata soprattutto nel mattone di casa (4,6 volte il reddito disponibile), in depositi bancari e postali (il 31% della ricchezza finanziaria) e sempre meno in titoli (caduti al 7% del portafoglio dal 30% dei primi anni ’90).
È questa la fotografia sulla ricchezza degli italiani, confrontata con quella dei principali paesi di riferimento, offerta da un occasional paper pubblicato da Bankitalia.
Cosa c’è nel portafoglio degli italiani?
Nei risparmi dei cittadini/elettori oggetto di attenzioni particolari da parte dei vertici governativi, che li hanno evocati più volte come potenziale salvagente di sicurezza in caso di instabilità finanziaria, non ci sono invece quasi più obbligazioni bancarie, potenziali candidate al bail in in caso di crisi (oggi sono pari al 2%, 0,5% quelle subordinate; in gran parte in scadenza entro il 2020) mentre le azioni sono attorno al 24% della ricchezza.
Un mucchio di soldi…
La ricchezza totale delle famiglie nel 2021 ammontava quindi a più di 10mila miliardi, con una crescita di quella finanziaria (azioni, bond e depositi per 4400 miliardi) rispetto a quella reale (abitazioni e terreni, appunto, pari a 6300 miliardi).
La ricchezza reale è pari a 5,5 volte il reddito disponibile e quella finanziaria è 3,8 volte. La ricchezza totale al netto dei debiti (pari all’80% del reddito disponibile) è 8,5 volte il reddito. Il dato italiano è simile in Francia e Spagna, mentre la finanza prevale in Stati Uniti e Germania.
Cosa analizza lo studio
Lo studio analizza l’evoluzione della ricchezza delle famiglie partendo dagli anni ’50 per arrivare a oggi.
Nella gran parte dei Paesi, ad eccezione di Germania e Giappone, dal 1995 a oggi le variazioni delle attività finanziarie sono il risultato per lo più di una variazioni dei prezzi degli strumenti – guadagni o perdite in conto capitale – piuttosto che da flussi di risparmio. Questo a riprova che la capacità di risparmiare non è cresciuta molto, anche nonostante la pandemia, come invece parecchi si sono affrettati a sottolineare.
Un trend chiaro
Negli ultimi venti anni il portafoglio finanziario delle famiglie italiane è invece diventato più simile a quello medio dei Paesi avanzati, mentre il debito rimane il più basso (80% del reddito, appunto, contro medie superiori al 100% nelle altre economie avanzate).
Guardando ancora al portafoglio finanziario degli italiani ed alla sua trasformazione nel lungo periodo, si apprende che la discesa dei tassi d’interesse degli ultimi anni è tra le motivazioni principe della caduta al 7% del peso dei titoli nella ricchezza finanziaria degli italiani, dal 30% del 1990 a cui si faceva riferimento prima.
Oggi la quota dei titoli è al livello minimo da quando sono disponibili statistiche, cioè appunto dal 1950.
L’incidenza dei titoli, bassa negli anni Cinquanta, Sessanta e Settanta, era successivamente cresciuta, a causa dell’aumento del debito pubblico, passato dal 55% del Pil nel 1980 al 111% nel 1993: i risparmiatori erano così diventati i primi detentori di titoli pubblici, sostituendosi alla detenzione tradizionale da parte delle banche.
Oggi la gran parte dei titoli pubblici è invece detenuta in maniera indiretta tramite fondi pensione e gestioni. In termini assoluti i Bot, Btp CcT, ecc. detenuti direttamente (pari a 121 miliardi) sono un terzo di vent’anni fa, quando avevano raggiunto il picco di 363 miliardi, andando di pari passo con l’aumento del debito.