L’Executive Director di Cribis Credit Management commenta per CreditNews i risultati della prima edizione dell’Osservatorio Npe
Nel dicembre 2020 è stata pubblicata la prima edizione dell’Osservatorio Npe di Cribis Credit Management, la società del Gruppo CRIF specializzata nella gestione in outsourcing dei processi di collection e di NPL management Abbiamo fatto il punto con Alberto Sondri, Executive Director di Cribis Credit Management.
Qual è stato il trend delle Npe negli ultimi 5 anni?
Negli ultimi anni il tema delle Npe è stato, anche a seguito della crisi del 2008, un tema strategico per il settore bancario e sicuramente continuerà a esserlo anche nei prossimi anni in funzione degli impatti causati dalla pandemia di Covid-19. Per comprendere la dinamica in atto, va sottolineato come negli ultimi 5 anni si sia passati da uno stock di circa 342 miliardi di euro (valore lordo degli Npe a fine 2015) a circa 107 miliardi di euro (valore lordo degli Npe a fine 2020). Entrambi i valori tengono conto del volume degli Npe presenti nei bilanci bancari per quanto riguarda famiglie consumatrici, famiglie produttrici e imprese.
Come mai si sono ridotti così tanto gli Npl nel 2015-2020?
Indubbiamente lo strumento della cessione, che prevede con diverse strutture il passaggio della titolarità dei crediti dalle banche originator a investitori terzi, ha avuto un ruolo determinante. A questo riguardo dalle analisi prodotte dall’Osservatorio Npe di Cribis Credit Management si stima che la riduzione dello stock (con il valore finale di 107 miliardi a fine 2020) abbia avuto queste dinamiche:
–Stock iniziale a fine 2015: 337 miliardi (dai bilanci bancari)
–Stock iniziale a fine 2015: 337 miliardi (dai bilanci bancari)
-Nuovi flussi di Npe nell’ordine di 102 miliardi
-Riduzione dello stock bancario mediante attività di recupero da parte degli istituti di credito nell’ordine di 93 miliardi
-Diminuzione dello stock mediante cessione del credito nell’ordine di 239 miliardi
-Riduzione dello stock ceduto mediante attività diretta di recupero da parte degli investitori nell’ordine di 36 miliardi
–Stock finale a fine 2020: 107 miliardi (dai bilanci bancari)
Inoltre si stimano circa 221 miliardi di euro ulteriori nei bilanci delle cartolarizzazioni (investitori).
Come mai Utp e scaduti deteriorati sono scesi a un tasso più contenuto nel 2015-2020?
Lo strumento della cessione non si è rivelato così adatto per questa tipologia di insolvenze, per una serie di motivi. Innanzi tutto per via del “Bid/Ask gap” tra domanda (banche originator) e offerta (investitori). Nello specifico, è stato più difficile trovare un punto di incontro tra domanda e offerta. Le posizioni Utp e scaduti/deteriorati hanno valori netti nei bilanci bancari molto superiori in rapporto alle sofferenze. Questo perché gli accantonamenti sono minori in considerazione delle maggior attese di recupero rispetto alle sofferenze. Quindi anche le attese di prezzo da parte degli originator sono superiori. Tali attese non sono spesso allineate con quelle di realizzo da parte degli investitori.
Una seconda motivazione è legata agli strumenti di recupero diversi tra banche e investitori. Infatti, i crediti Utp e scaduti/deteriorati sono ancora “vivi” rispetto alle sofferenze: possono cioè essere gestiti dalle banche con attività diverse da quelle previste nell’approccio liquidatorio, in particolare con operazioni di ristrutturazione del debito. Per avere gli stessi strumenti da parte di un investitore è necessario predisporre delle operazioni con strutture specifiche.
Chi sono i maggiori originator di Npe in Italia?
A livello di stock, Unicredit, Intesa Sanpaolo e Banco BPM rappresentano oggi circa la metà del totale, sulla base dei bilanci bancari. Di seguito, nell’ordine gli altri principali istituti: Iccrea, Banca Mps, Ubi Banca, Bper, Cassa Centrale Banca, Bnl e Cariparma.
A livello di cessioni, Unicredit è risultato il top player nel 2020, con circa 4,5 miliardi di transazioni chiuse (circa 3 miliardi relativi a Npl e circa 2 miliardi a Utp). Intesa Sanpaolo è stato uno degli operatori più attivi nel 2019, con la cessione di Utp per circa 3 miliardi; nel 2020 ha ceduto un portafoglio misto Utp/Npl per ulteriori 0,5 miliardi. Post-fusione con Ubi Banca è cominciato il lavoro per un deal con un controvalore di circa 12 miliardi, di cui 7 relativi a Intesa e 5 a Ubi. Mps, infine, ha chiuso un deal con Amco del valore di 8 miliardi: 5 miliardi di Npl e 3 miliardi di Utp).
Quale quota di Npe riescono a recuperare le banche? E gli investitori?
Come riportato dalle Note di stabilità finanziaria e vigilanza di Banca d’Italia, il tasso di recupero medio dell’ultimo triennio è stato pari al 31,3%, di cui un 44,7% relativo a posizioni non oggetto di cessione e un 28,1% a posizioni cedute. Il recuperato da parte degli investitori è, invece, circa pari a circa il 30% dei crediti acquisiti.
Come spiega la differenza tra i due nei recuperi?
Il motivo principale riguarda la tipologia di crediti su cui sono perfezionati i recuperi.
Le banche registrano performance mediamente superiori in quanto da un lato gestiscono crediti da loro stesse originati, e quindi hanno un maggior contributo informativo sulle posizioni e relazioni già in essere con il debitore; dall’altro gestiscono crediti mediamente più giovani e con caratteristiche necessariamente diverse dai portafogli ceduti.