Lo dice l’ultimo Rapporto sulla stabilità finanziaria di Banca d’Italia. Che raccomanda “notevole prudenza” agli istituti di credito nostrani
Il rischio maggiore cui oggi sono esposte le banche consiste nel peggioramento della qualità dei prestiti. Lo ha messo nero su bianco Banca d’Italia nel suo primo Rapporto sulla stabilità finanziaria del 2021, diffuso il 30 aprile scorso. In particolare, via Nazionale nota che quest’anno “il tasso di deterioramento dei prestiti, rimasto pressoché stabile nel corso del 2020, mostra segnali di aumento, in particolare per i prestiti alle imprese operanti nei settori più esposti agli effetti della crisi sanitaria”. In particolare, il flusso di nuovi crediti deteriorati in rapporto ai prestiti in bonis, rimasto pressoché stabile allo 0,9% fino a settembre del 2020, è cresciuto nel quarto trimestre all’1,1%. Inoltre, l’incremento ha riguardato sia i prestiti alle famiglie (dallo 0,9 all’1,0%) sia quelli alle imprese (dall’1,2 all’1,5%). Le rettifiche sui crediti in bonis in crescita hanno contribuito alla forte riduzione della redditività nel 2020 subita dalle banche.
Non solo. La situazione è destinata a peggiorare: le moratorie ancora in essere, la cui incidenza è più alta della media europea, stanno probabilmente “ritardando l’emersione di difficoltà nel rimborso dei prestiti”. Bankitalia prevede che un deterioramento della qualità del credito nel biennio 2021-22 potrebbe generare “perdite su crediti per circa 9 miliardi (lo 0,8%delle attività ponderate per il rischio complessive del sistema bancario)”.
In questo contesto, gli istituti di credito devono “valutare con attenzione, caso per caso, la posizione delle imprese, attivandosi per sostenere quelle con prospettive di ripresa ed effettuando le necessarie riclassificazioni prudenziali e contabili. La situazione di incertezza richiede notevole prudenza e il rafforzamento delle decisioni di accantonamento”, raccomanda Bankitalia.
Che ha suggerito agli istituti di credito “notevole prudenza” oltre al rafforzamento delle decisioni di accantonamento, soprattutto da parte delle banche meno significative: l’incidenza delle posizioni per cui è stato rilevato un incremento significativo del rischio di credito (classificate nello stadio 2 secondo il principio contabile Ifrs 9) è infatti per questi intermediari inferiore alla media di sistema, nonostante la quota di moratorie ancora in essere sul totale dei prestiti sia maggiore. Una buona notizia: il rapporto di via Nazionale ha registrato un ulteriore miglioramento della patrimonializzazione nel secondo semestre dell’anno. Merito principalmente della ricomposizione delle attività in portafoglio verso esposizioni meno rischiose. Banca d’Italia comunque ha sottolineato che “il divario tra quella media delle banche significative italiane e la patrimonializzazione degli intermediari significativi dei paesi partecipanti all’SSM (Single Supervisory Mechanism, primo pilastro dell’unione bancaria europea, ndr) si è sostanzialmente annullato“.
E’ anche presente una nota di ottimismo nella relazione di via Nazionale: gli indicatori di rischio relativi ai prestiti sono (e rimarranno) ben al di sotto dei picchi registrati durante e dopo l’ultima crisi. Nel 2012-2013, infatti, il tasso di deterioramento dei crediti era attorno al 6-8%, mentre ora siamo nell’ordine del 2%. Un discorso analogo vale per il Net Npl ratio (che misura lo stock dei crediti deteriorati), passato dal 9-10% del 2015 all’attuale 2%. Merito di una politica di derisking portate avanti dagli istituti di credito, anche sotto la spinta dei regolatori europei e che non è stata rallentata dal coronavirus: basti pensare che solo nel 2020, le banche italiane hanno venduto Npl per circa 30 miliardi di euro. Il combinato disposto di questi fattori farà sì che il nuovo aumento dei prestiti a rischio – iniziato nel quarto trimestre dell’anno scorso e destinato ad aggravarsi nei prossimi mesi – sarà comunque gestibile, a patto che le banche restino prudenti.