Il governo prevede di incassare 20 miliardi entro il 2026 da usare per ridurre il debito pubblico vendendo aziende statali. Ma come lo farà? E, soprattutto, ce la farà?
Debito pubblico, una questione annosa
Il debito pubblico italiano è uno dei più alti in Europa, sfiorando il 140% del Pil. Secondo quanto comunicato dalla Banca d’Italia alla fine di novembre il debito pubblico era sceso a circa 2.855 miliardi di euro rispetto ai circa 2.868 miliardi di inizio mese; il calo mensile è stato di quasi 13 miliardi di euro.
Rispetto al dato dello stesso mese dello scorso anno (2.760 miliardi di euro) il debito pubblico è invece (e purtroppo) cresciuto di oltre 95 miliardi.
Questo dato, comunque lo si guardi, rappresenta un enorme peso sulle spalle delle future generazioni di italiani, che dovranno pagare gli interessi sul debito per molti anni a venire.
Per ridurre il debito pubblico, il governo italiano ha annunciato che intende vendere alcune aziende statali. Non tutte, ovviamente, perché ognuna di quelle che di cui leggerete tra poco è strategica per la nazione, ma solo una loro piccola quota azionaria.
Questa decisione è stata accolta con favore da alcuni, che ritengono che sia un passo necessario per migliorare la competitività dell’economia italiana e attirare investimenti stranieri. Tuttavia, altri hanno espresso preoccupazione per il possibile impatto negativo di queste vendite sulla società italiana.
Le aziende in vendita
Le aziende statali che potrebbero essere vendute includono:
- ENI, la più importante compagnia petrolifera italiana
- Fincantieri, il gruppo cantieristico navale, tra i leader del settore a livello mondiale
- Leonardo, il gruppo industriale che opera nei settori della difesa, dell’aeronautica e dello spazio (l’ex Finmeccanica)
- Terna, la società di trasmissione dell’energia elettrica
- Poste Italiane, il gruppo postale, ex monopolista
- Qualcuno suggerisce che possa essere della partita anche Trenitalia, ma finora le indiscrezioni di stampa in merito non hanno trovato alcun riscontro paragonabile a quello per le altre aziende
I possibili benefici per il debito pubblico
La vendita di queste aziende potrebbe portare a diversi benefici per l’Italia, tra cui:
- Un incasso di circa 20 miliardi di euro, che potrebbe essere utilizzato per ridurre il debito pubblico (me è una goccia in un oceano, anche se fosse realizzabile)
- Una maggiore competitività dell’economia italiana, grazie all’ingresso di nuovi capitali e competenze (questa è invece la cosa più realisticamente importante)
- Un maggiore interesse da parte degli investitori stranieri (vedi sopra, di conseguenza)
I possibili rischi per il debito pubblico
Tuttavia, la vendita di queste aziende potrebbe anche comportare alcuni rischi, tra cui:
- Una perdita di controllo da parte dello Stato su alcune attività strategiche
- Un impatto negativo sull’occupazione, in particolare nelle aree in cui queste aziende operano
- Un aumento delle concentrazioni di mercato
Opinioni contrastanti
La decisione del governo italiano di vendere alcune aziende statali ha dunque suscitato, come era ovvio che fosse, opinioni contrastanti.
I sostenitori della vendita ritengono che sia un passo necessario per migliorare la competitività dell’economia italiana e attirare investimenti stranieri. Sostengono che lo Stato non è in grado di gestire queste aziende in modo efficiente, e che la loro vendita potrebbe portare a un aumento della produttività e degli investimenti.
I critici della vendita, invece, ritengono che possa avere un impatto negativo sulla società italiana. Sostengono che la vendita di queste aziende potrebbe comportare una perdita di controllo da parte dello Stato su alcune attività strategiche, un impatto negativo sull’occupazione e un aumento delle concentrazioni di mercato.
In pratica, se ci fate caso, la classica contrapposizione tra liberisti e statalisti, che c’è sempre stata, e sempre ci sarà.
Le prossime mosse
Il governo italiano non ha ancora annunciato un calendario preciso per la vendita delle quote di queste aziende statali. Tuttavia, è probabile (sperabile?) che le prime operazioni vengano avviate nel corso del 2024.
Il successo di queste vendite dipenderà da una serie di fattori, tra cui le condizioni economiche e finanziarie, la reazione dei mercati e l’eventuale (meglio dire sicura…) opposizione politica.