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Banche italiane troppo care: una tassa sugli extraprofitti è la soluzione?

Negli ultimi mesi, la questione degli extraprofitti delle banche italiane ha sollevato un acceso dibattito. Alcuni vedono la possibilità di tassare questi guadagni straordinari come una soluzione semplice e immediata per ridurre il deficit pubblico, mentre altri lo considerano una forma di giustizia economica nei confronti delle banche, che sembrano trarre enormi profitti senza giustificazione. Tuttavia, è importante domandarsi se il settore bancario stia effettivamente abusando del proprio potere nei confronti dei clienti e, in secondo luogo, se una tassa straordinaria possa realmente risolvere il problema.

Banche italiane: squilibrio tra credito alle imprese e profitti

Una recente indagine autonoma, pubblicata in un articolo de “Il Corriere della Sera”, è tornata sulla questione degli extraprofitti delle banche italiane. Stando allo studio, gli istituti bancari del nostro Paese sembrerebbero accumulare margini di profitto enormi sulla concessione del credito a imprese e famiglie, che non hanno nulla a che vedere con efficienza, competenza o qualità del servizio. È il caso di specie di un’azienda emiliana, che ha richiesto un prestito di sei mesi a una banca del territorio, che ha applicato un tasso d’interesse vicino al 9% annuo.

Il costo del prestito, però, sarebbe salito fino al 14% se l’azienda non avesse ottenuto una copertura da un Confidi prima e dal Fondo Centrale di Garanzia poi. Tutt’al più, l’esempio citato evidenzia un altro singolare aspetto: ossia, come le banche si affidino pesantemente alle garanzie pubbliche per ridurre i rischi, e come, senza questa protezione, i tassi d’interesse diventerebbero insostenibili per le imprese. In pratica, senza l’intervento dello Stato, le banche non offrirebbero più credito a condizioni ragionevoli, creando un circolo vizioso che penalizzerebbe l’intero settore produttivo.

Negli ultimi anni, la dipendenza del sistema bancario italiano dalle garanzie pubbliche è un fenomeno sempre più evidente, sviluppatosi in particolare durante la pandemia. Molti istituti di credito si sono abituati a operare sotto la protezione dello Stato, riducendo drasticamente il loro rischio, ma al tempo stesso richiedendo tassi elevati ai clienti. Questo ha creato una circolo vizioso in cui il settore finanziario fatica a tornare a un normale funzionamento di mercato. Attualmente, lo stock di garanzie pubbliche attive è di circa 300 miliardi di euro, mentre il credito alle imprese si è ridotto a 600 miliardi, il livello più basso degli ultimi vent’anni.

Pratiche discutibili e monopolistiche

Le banche, d’altra parte, sembrano davvero approfittarsi della situazione. Nonostante le garanzie pubbliche riducano drasticamente i costi per gli istituti di credito, i tassi d’interesse rimangono molto elevati, come dimostra il caso dell’azienda emiliana. “Tra costo del finanziamento, costo del capitale proprio, costi di gestione e costo del rischio” si legge nell’articolo “una banca tradizionale affronta oneri fra il 4,5% e il 5% per ogni euro che presta a una piccola e media impresa. Tuttavia, la garanzia pubblica riduce di molto sia il costo del capitale che quello del rischio. Praticare quasi il 9% di interesse suggerisce che vi siano comportamenti di tipo monopolistico tra le banche italiane, a discapito dei clienti”.

A livello nazionale, inoltre, la Banca d’Italia ha rivelato che il rendimento medio sui depositi delle famiglie è solo dello 0,39%, mentre le banche guadagnano fino al 4% depositando le loro riserve presso la BCE. Una recente ricerca di Morningstar ha evidenziato, infine, che banche italiane hanno i costi più alti in termini di commissioni e prelievi sugli investimenti, rispetto a 26 economie globali.  Questo squilibrio mette in luce pratiche finanziarie poco trasparenti e anti-competitive.

Perché una tassa sugli extraprofitti non è la soluzione

Sebbene una tassa sugli extraprofitti possa sembrare una soluzione rapida per correggere questi squilibri, si tratterebbe di una falsa soluzione. Tassare i profitti bancari derivanti da pratiche scorrette significherebbe cristallizzare quegli abusi, facendo sì che lo Stato diventi beneficiario degli stessi comportamenti che intende combattere. Una tassa di questo tipo offrirebbe alle banche un pretesto per alzare ulteriormente i costi e limitare ancora di più l’accesso al credito per imprese e famiglie.

La vera soluzione non risiede nella tassazione, ma nella promozione di un sistema più trasparente e competitivo. L’Italia ha bisogno di un mercato finanziario che incentivi la concorrenza e che sia regolato da norme chiare che proteggano i consumatori. Solo con il sostegno del governo e delle autorità di regolazione si potrà creare un ambiente in cui le banche operino in modo equo, sostenendo le imprese e contribuendo alla crescita economica del nostro Paese.

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