La crisi dei mutui subprime iniziata nel 2007 ha dato una cattiva fama al concetto decennale di cartolarizzazione, ma è immeritata o no?
Che cos’è la cartolarizzazione?
La cartolarizzazione è il processo in cui alcuni tipi di attività sono messi in comune per essere riconfezionati in titoli fruttiferi. I pagamenti degli interessi e del capitale delle attività vengono trasferiti agli acquirenti dei titoli. E’ ribalzata agli onori della cronaca perché è stata sul tavolo delle ipotesi come totale o parziale soluzione della recente crisi del superbonus. Trovate il nostro approfondimento su questo argomento a questo link.
La cartolarizzazione ha avuto inizio negli anni ’70, quando le agenzie governative statunitensi hanno iniziato a mettere in comune i mutui ipotecari.
A partire dagli anni ’80 del secolo scorso, altri beni che producono reddito hanno iniziato a essere cartolarizzati e, negli ultimi anni, il mercato è cresciuto in modo vertiginoso.
In alcuni mercati, come quello dei titoli garantiti da mutui subprime a rischio negli Stati Uniti, l’inatteso deterioramento della qualità di alcune delle attività sottostanti ha minato la fiducia degli investitori.
Sia l’entità che la persistenza della crisi creditizia negli anni successivi alla Grande Recessione sembrano suggerire che la cartolarizzazione – insieme a una cattiva origine del credito, a metodi di valutazione inadeguati e a un’insufficiente vigilanza regolamentare – potrebbe danneggiare gravemente la stabilità finanziaria, se non strutturata ed eseguita correttamente.
Perché si usa?
Un numero crescente di istituzioni finanziarie ricorre alla cartolarizzazione per trasferire il rischio di credito delle attività da esse originate dai propri bilanci a quelli di altre istituzioni finanziarie, come banche, compagnie di assicurazione e hedge fund. Lo fanno per una serie di motivi.
Spesso è più economico raccogliere denaro attraverso la cartolarizzazione, e le attività cartolarizzate sono meno costose da detenere per le banche perché le autorità di regolamentazione finanziaria hanno standard diversi per esse rispetto alle attività che le sostengono.
In linea di principio, questo approccio “originate and distribute” ha portato anche ampi benefici economici: la ripartizione delle esposizioni creditizie, diffondendo così le concentrazioni di rischio e riducendo le vulnerabilità sistemiche.
Una buona cosa… fino ai subprime
Fino allo scoppio della crisi dei subprime, l’impatto della cartolarizzazione sembrava in gran parte positivo e benevolo.
Ma la cartolarizzazione ha anche ricevuto critiche. Alcuni dicono che abbia compromesso gli incentivi per i cedenti a garantire standard minimi di prestito, gestione del rischio e investimento prudenti, in un momento (tra la fine degli anni ’10 e tutti i ’20) in cui i bassi rendimenti dei prodotti di debito convenzionali, i tassi di insolvenza inferiori all’esperienza storica e l’ampia disponibilità di strumenti di copertura hanno incoraggiato gli investitori ad assumere maggiori rischi per ottenere un rendimento più elevato.
All’epoca dei subprime, purtroppo, molti dei prestiti non sono stati mantenuti nei bilanci di coloro che li hanno cartolarizzati, incoraggiando forse i cedenti a ridurre lo screening e il monitoraggio dei mutuatari, con un certo deterioramento sistematico degli standard di prestito e di garanzia.
Il processo di cartolarizzazione
Nella sua forma più elementare, il processo prevede due fasi.
Nella prima fase, una società con prestiti o altre attività che producono reddito – il cedente – identifica le attività che vuole rimuovere dal proprio bilancio, e le raggruppa in quello che viene chiamato portafoglio di riferimento. In seguito, vende questo pool di attività a un emittente, come una società veicolo (SPV, Special Purpose Vehicle), un’entità creata, di solito da un istituto finanziario, appositamente per acquistare le attività e realizzare il loro trattamento fuori bilancio a fini legali e contabili.
Nella seconda fase, l’emittente finanzia l’acquisizione delle attività in pool emettendo titoli negoziabili e fruttiferi, che sono venduti agli investitori del mercato dei capitali. Gli investitori ricevono pagamenti a tasso fisso o variabile da un conto fiduciario, alimentato dai flussi di cassa generati dal portafoglio di riferimento.
Nella maggior parte dei casi, il cedente fornisce il servizio ai prestiti in portafoglio, raccoglie i pagamenti dai mutuatari originari e li trasferisce – senza una commissione di servizio – direttamente all’SPV.
In sostanza, la cartolarizzazione rappresenta una fonte di finanziamento alternativa e diversificata basata sul trasferimento del rischio di credito (ed eventualmente anche del rischio di tasso di interesse e di valuta) dagli emittenti agli investitori.
Il fascino della cartolarizzazione
La cartolarizzazione è nata come un modo per le istituzioni e le società finanziarie di trovare nuove fonti di finanziamento, spostando le attività dai loro bilanci o prendendo a prestito le attività stesse per rifinanziarle a un tasso di mercato equo. In questo modo si riducono i costi di finanziamento e, nel caso delle banche, si abbassano i requisiti patrimoniali minimi previsti dalla normativa.
Ad esempio, supponiamo che una società di leasing abbia bisogno di raccogliere liquidità. In base alle procedure standard, la società accenderebbe un prestito o venderebbe obbligazioni. La sua capacità di farlo, e il relativo costo, dipenderebbe dalla sua salute finanziaria complessiva e dal suo rating creditizio.
Se riuscisse a trovare degli acquirenti, potrebbe vendere direttamente alcuni dei leasing, convertendo di fatto un flusso di reddito futuro in liquidità. Il problema è che non esiste praticamente un mercato secondario per i singoli contratti di locazione. Tuttavia, mettendo in comune i contratti di locazione, l’azienda può raccogliere liquidità vendendo il pacchetto a un emittente, che a sua volta converte il pool di contratti di locazione in un titolo negoziabile.
Inoltre, le attività sono svincolate dal bilancio del cedente (e dal suo rating creditizio), consentendo agli emittenti di raccogliere fondi per finanziare l’acquisto di attività a costi più bassi di quanto sarebbe possibile con la sola forza del bilancio del cedente.
Ad esempio, una società con un rating complessivo “B” e con attività con rating “AAA” nei propri libri contabili potrebbe essere in grado di raccogliere fondi con un rating “AAA” anziché “B” cartolarizzando tali attività.
A differenza del debito convenzionale, la cartolarizzazione non gonfia le passività di una società. Al contrario, produce fondi per investimenti futuri senza aumentare il bilancio.
I benefici per gli investitori
Gli investitori beneficiano non solo di una gamma più ampia di attività investibili rese disponibili dalla cartolarizzazione. La flessibilità delle operazioni di cartolarizzazione aiuta anche gli emittenti ad adattare le proprietà di rischio-rendimento delle tranche alla tolleranza al rischio degli investitori.
Ad esempio, i fondi pensione e altri organismi di investimento collettivo hanno bisogno di una gamma diversificata di investimenti a reddito fisso a lungo termine con un rating elevato, al di là di quello che possono fornire le emissioni di debito pubblico dei governi.
Se il debito cartolarizzato è negoziato, gli investitori possono adeguare rapidamente la loro esposizione individuale alle attività sensibili al credito in risposta a variazioni della sensibilità al rischio personale, del sentimento di mercato e delle preferenze di consumo, a un basso costo di transazione.
Crescita della cartolarizzazione
Il panorama della cartolarizzazione è cambiato radicalmente nell’ultimo decennio. Non si tratta più di attività tradizionali con condizioni specifiche come mutui, prestiti bancari o prestiti al consumo (chiamate anche attività autoliquidanti).
Il miglioramento della modellazione e della quantificazione del rischio, nonché la maggiore disponibilità di dati, hanno incoraggiato gli emittenti a prendere in considerazione una più ampia varietà di tipi di attività, tra cui i mutui ipotecari, i crediti di leasing e i prestiti alle piccole imprese, per citarne alcuni.
Sebbene la maggior parte delle emissioni sia concentrata nei mercati maturi, la cartolarizzazione ha registrato una crescita significativa anche nei mercati emergenti, dove grandi società e banche con rating elevato hanno utilizzato la cartolarizzazione per trasformare i flussi di cassa futuri derivanti da crediti all’esportazione in valuta forte o da rimesse in liquidità corrente.