Lo studio di EY evidenzia i miglioramenti avvenuti negli ultimi tre anni nel mercato italiano degli Npl: ora l’attenzione è tutta rivolta ai crediti Utp.
Negli ultimi tre anni lo stock di non performing loans in seno alle banche italiane ha avuto un calo significativo. È quanto emerso dallo studio di EY (Ernst & Young), società di consulenza, fiscalità e revisione contabile presente in tutto il mondo, sul mercato italiano dei crediti deteriorati. Da dicembre 2015 a settembre 2018 il valore degli Npl in Italia è passato da 341 miliardi di euro a 209 miliardi, pari a una riduzione del 39%. Secondo EY, come già evidenziato dal precedente studio di PwC, i miglioramenti sono dovuti dalla stretta imposta dalla Vigilanza/Bce, dai nuovi principi contabili Ifrs9 e dall Gacs, la garanzia pubblica. A fronte delle consistenti cessioni, il report evidenzia inoltre l’aumento degli accantonamenti, salito dal 50% al 54% nei primi sei mesi del 2018, valori entrambi più alti di quelli della media europea, (46% e 45%). Infine, il flusso di nuovi deteriorati è tornato allo stesso livello degli anni pre-crisi, ovvero al 2,1%.
Alla luce di quanto avvenuto nel corso del 2018, considerato il significativo processo di deleveraging, per gli istituti bancari italiani ora è tempo di guardare altrove. Come ha spiegato Luca Cosentino, partner EY del team transaction advisory services , “sta iniziando una nuova fase, dove l’attenzione degli operatori si focalizzerà sempre più sulla gestione proattiva degli Utp, sull’incremento delle performance di recupero, sulla cessione di portafogli relativi a nuove asset class e sullo sviluppo del mercato secondario”. In particolare, l’occhio di bue è puntato sulle inadempienze probabili, i famosi crediti Utp. Al momento in Italia il valore degli unlikely to pay ammonta a circa 83 miliardi di euro lordi (52 miliardi netti) distribuiti per il 55% al Nord, per il 27% al Centro, per il 12% al Sud e per il 6% nelle Isole. Le cessioni di crediti Utp sono iniziate lo scorso anno e hanno raggiunto un valore complessivo di circa 3 miliardi.
Tuttavia, quello che preoccupa di più per questa tipologia di crediti a rischio sono le modalità di recupero. “Gli unlikely to pay sono l’anticamera delle sofferenze” ha sottolineato Katia Mariotti, partner restructuring & Npe mediterranea leader di EY “ma, a differenza di queste che hanno recuperi collegati ad attività di natura legale e/o di recupero fallimentare, sono crediti nei confronti di controparti ancora attive che richiedono soluzioni industriali e finanziarie ad hoc”. Per questo motivo, data la loro peculiarità le banche dovranno adottare strategie e strumenti differenti da quelli utilizzati per i Bad loans. In questo senso, istituti e investitori istituzionali si stanno attrezzando con team di esperti e tecnici per affrontare la più importante sfida del 2019.