Credito inesistente e non spettante: quali sono le differenze?
Una sentenza della Corte di Cassazione ha chiarito che un credito non può essere allo stesso tempo sia inesistente che non spettante.
La normativa
Come definito dall’articolo 13, comma 5, del D.Lgs. 471/97, un credito è detto inesistente se “manca, in tutto o in parte, il presupposto costitutivo e la cui inesistenza non sia riscontrabile attraverso i controlli”. Nel dettaglio, deve avere entrambi i seguenti requisiti:
- Deve mancare il presupposto costitutivo; il credito non risulta dai dati contabili, finanziari o patrimoniali del contribuente;
- Allo stesso tempo, l’inesistenza non deve essere riscontrabile mediante controlli formali, automatizzati o attraverso i dati dell’anagrafe tributaria.
Se al credito viene a mancare uno solo di questi requisiti, allora viene definito non spettante.
La compensazione del credito
I crediti d’imposta vengono abitualmente utilizzati per diminuire le imposte a debito e sono quindi uno “sconto” sulle tasse da pagare. In ambito tributario, questa compensazione rappresenta una particolare applicazione del principio per cui “quando due persone sono obbligate una verso l’altra, i due debiti si estinguono per le quantità corrispondenti”.
Sanzioni per l’uso in compensazione di credito inesistente o non spettante
Quando però viene accertato che il contribuente ha compensato un debito con un credito inesistente o non spettante, questo riceve un atto di notifica.
La sanzione per aver compensato un credito non spettante è del 30% di ciascun importo non versato.
La compensazione attraverso crediti inesistenti, invece, porta ad una sanzione compresa tra il 100 e il 200 per cento dei crediti compensati.
Infine, se la somma utilizzata in compensazione dei crediti non spettanti o inesistenti supera la soglia dei 50.000 euro, la sanzione diventa penale. Viene punita con la reclusione per un periodo compreso tra i sei mesi e i sei anni.