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Le politiche economiche di un secondo mandato di Donald Trump

Dazi USA: 23mila imprese italiane “vulnerabili”. I settori più a rischio

Mentre le borse di tutto il mondo subiscono il contraccolpo delle nuove politiche commerciali d’oltreoceano, l’UE si prepara a rispondere. In questo scenario di incertezza, l’Italia è il Paese più esposto d’Europa con un export secondo soltanto a quello della Germania. Ecco i settori che rischiano un impatto maggiore.

Dopo il lunedì nero del 7 aprile, per effetto della politica dei dazi di Trump, i mercati tentano di recuperare le perdite, nonostante il diffuso clima di incertezza. Secondo quanto riportato da fonti informate al Washington Post – e ripreso da RaNews – Elon Musk avrebbe tentato di convincere il presidente statunitense a ritirare lo tsunami di dazi doganali che sta mettendo in subbuglio l’economia globale, ma senza successo.

Intanto dall’altra parte del Globo, Pechino invita Trump al dialogo, precisando che “non accetteranno ricatti dagli USA”. Mentre l’Europa, pur sperando ancora in una mediazione col tycoon, avverte: “Sia chiaro, il bazooka è ancora sul tavolo, ma auspichiamo di non doverlo usare. Agli Usa diciamo che vogliamo parlare”. Lo ha affermato il portavoce della Commissione Europea.

Dalla bozza di contromisure UE di 66 pagine che sta circolando in queste ore emergono i primi prodotti che saranno colpiti dai “contro dazi”: le iconiche Harley-Davidson (con cilindrata superiore a 500 cc), gli yacht di lusso americani, i jeans e le t-shirt di cotone. Risparmiato per il momento il whisky del Kentucky, al fine di scongiurare un’ulteriore escalation da oltreoceano: Trump aveva infatti già minacciato di alzare al 200% i dazi sugli alcolici più pregiati.

Italia: i settori più colpiti

Ma spostando l’attenzione sull’Europa e in particolare sul nostro Paese, che effetto avranno i dazi made in USA? Ad alto impatto, se si considera – come ha dichiarato il Presidente di Confindustria Emanuele Orsini – che l’Italia esporta ogni anno negli Stati Uniti merci per un valore di 67 miliardi di euro (contro i 25 miliardi che importa) e che negli ultimi anni, la crescita si è basata esclusivamente sulle esportazioni. Rispetto alla media Ue, l’export italiano è più esposto al mercato statunitense: 22,2% delle vendite italiane extra-Ue, rispetto al 19,7% di quelle Ue. Solo la Germania esporta di più.

Entrando nel dettaglio, i settori più colpiti dai dazi trumpiani, in termini di valore – secondo il Centro studi Confindustria – saranno: macchinari e impianti (12,4 miliardi), autoveicoli e altri mezzi di trasporto (11,1 miliardi), farmaceutica (nel 2024, sono stati esportati verso gli Usa farmaci e vaccini per un valore di oltre 10 miliardi), alimentari (4 miliardi), chimica (2,9 miliardi), bevande (2,6 miliardi).

A questi si aggiunge il settore della moda, nel quale gli Stati Uniti rappresentano il terzo mercato per l’export italiano, con un valore generato da gennaio a ottobre 2024 – secondo le stime delle associazioni di categoria – di 4,5 miliardi e 3,1 miliardi per i settori collegati.

In termini di flussi, invece, si annoverano: le bevande (39% negli Usa), gli autoveicoli e altri mezzi di trasporto (30,7% e 34,0%) e la farmaceutica (30,7%).

L’impatto sulle PMI italiane e il Made in Italy

Nel Bel Paese, la svolta protezionistica statunitense porterà 23 mila aziende a essere “più vulnerabili” nei confronti della domanda estera. Confartigianato ha calcolato che le nuove tariffe potrebbero far calare di oltre 11 miliardi le esportazioni verso gli Stati Uniti, con una perdita di 33mila occupati al settore manifatturiero. Oltre un terzo dell’impatto occupazionale riguarderebbe le micro e le piccole imprese, con 13mila posti di lavoro a rischio. La Lombardia risulta la regione più esposta alle nuove restrizioni commerciali, in quanto pesa il 20,5% delle esportazioni verso gli USA. Seguono l’Emilia Romagna, la Toscana, il Veneto, il Piemonte e il Lazio.

Tra i settori che esprimono maggiori preoccupazioni c’è il Made in Italy agroalimentare. Per il presidente di Coldiretti, Ettore Prandini, “rischiamo una perdita potenziale di 1,6 miliardi di esportazioni, soprattutto su alcuni settori come quello vitivinicolo“. Secondo l’Unione italiana vini con i “sanguinosi dazi americani” il mercato dovrà “tagliare i propri ricavi di 323 milioni di euro l’anno“.

Entrando nel dettaglio, il costo delle singole filiere sarebbe di circa 500 milioni di euro, 240 milioni per l’olio d’oliva, 170 milioni per la pasta, 120 milioni per i formaggi. Tra i prodotti più “a rischio”, emerge il Pecorino Romano: utilizzato soprattutto per insaporire le patatine confezionate, registra un export negli Usa pari al 57% (quasi 151 milioni di euro).

L’impatto non sarà solo a carico “nostro”, sempre secondo Coldiretti, i dazi sul made in Italy si tradurranno anche in una spesa fino a due miliardi di euro in più per i consumatori americani.  

Anche gli USA rischiano la recessione

Nonostante l’obiettivo dell’amministrazione statunitense sia chiaro – ovvero scardinare le regole attuali nell’ambito degli scambi globali, per potenziare il peso degli Stati Uniti nelle contrattazioni bilaterali con i partner commerciali – la strategia dei dazi rischia di avere effetti controproducenti per la stessa economia USA.

Goldman Sachs ha infatti, alzato le probabilità di recessione degli Stati Uniti al 45% nei prossimi 12 mesi – da una precedente stima del 35% – proprio per effetto del “forte inasprimento delle condizioni finanziarie e dell’aumento dell’incertezza politica”. Basta guardare ad esempio il mercato dell’acciaio e dell’alluminio: i dazi mirano a favorire l’attività siderurgica USA, ma penalizzano molti settori manifatturieri domestici che si “nutrono” di metallo.

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