Il fisco come le banche. Nell’ultima bozza (non ancora definitiva) valida per la nuova legge di Bilancio si dispone la “cessione di tutti i carichi dal 2000 al 2010 affidati all’agente della riscossione”. In parole povere, i crediti fiscali non riscossi dall’ex Equitalia e gestiti attualmente da Agenzia delle Entrate -Riscossione verrebbero venduti ai privati con lo scopo di riscuotere denaro in tempi celeri. Il Ministero dell’Economia si comporterebbe di fatto come le banche con i crediti in sofferenza: “cartolarizzarli” e venderli ad istituti specializzati per alleggerire i bilanci statali. Attraverso questa operazione rientrerebbero nelle casse delle Stato circa 4 miliardi (da pagare in tre rate annuali dal 2018 al 2020) a fronte di un valore nominale di circa 500-600 miliardi di euro. Dall’asta rimarrebbero esclusi quei crediti sui quali sono in atto procedure concorsuali, rateizzazioni e rottamazioni.
Nella storia dell’amministrazione finanziaria questo genere di manovra rappresenterebbe un inedito, inedito che finora ha sollevato non poche polemiche in merito agli effetti che la maxi-asta potrebbe comportare. Il nodo della questione sta nel fatto che i crediti non riscossi di Equitalia erano soggetti a vincoli che nel caso di vendita ad istituti privati cesserebbero di esistere, in quanto quest’ultimi non sono tenuti a rispettarli. Da anni, complice la crisi economica, si sono succedute norme che limitavano il raggio d’azione dell’ex Equitalia, a garanzia invece dei contribuenti-debitori. Proprio per questi ultimi le conseguenze di una maxi-asta potrebbero essere assai drammatiche. Un esempio in merito riguarda l’espropriazione immobiliare. Le tutele nei confronti del contribuente-debitore imponevano all’agente di riscossione il divieto di pignoramento dell’unico immobile di sua proprietà. Queste limitazioni cesseranno di esistere in caso di vendita del debito, come anche l’impossibilità di iscrivere ipoteca sugli immobili per crediti inferiori ai 20 mila euro o il divieto di pignoramento della seconda casa per crediti fiscali inferiori ai 120 mila euro.
Un altro caso riguarda i limiti di pignoramento di stipendio e pensioni. La normativa attuale impone un limite di 1/10 per i redditi inferiori a 2.500 euro e di 1/7 per quelli al di sotto dei 5.000 euro. Queste tutele cesserebbero di esistere se l’operazione andasse a buon fine. Per i privati infatti il pignoramento si spinge fino al tradizionale limite di un quinto del reddito, con il forte rischio (discorso valido anche per la casa) di penalizzare le fasce sociali meno abbienti.