In merito alle Linee Guida della BCE sugli NPL abbiamo chiesto un commento sull’argomento a Claudio Manetti, Amministratore Delegato di Fire S.p.A., primaria società italiana che opera nel settore della Tutela del Credito.
“L’Addendum alle Linee Guida della BCE sugli NPL – commenta Claudio Manetti – inserisce un ulteriore tassello nella ricomposizione del fenomeno dei crediti deteriorati che continua ad affliggere il sistema bancario del nostro Paese e l’intera economia (che si riprende di conseguenza col freno a mano tirato). Si tratta dei livelli minimi di accantonamento prudenziale per le esposizioni deteriorate e dei relativi tempi di smaltimento.
Come dire: nulla sarà più come prima e soprattutto scomparirà la discrezionalità che le Autorità di Vigilanza nazionali hanno concesso fino ad oggi alle banche nel calcolo delle rettifiche, con potenziali effetti nella rappresentazione dei risultati di esercizio e sulla omogeneità di comportamenti, che a sua volta impatta una sana concorrenza.
Logicamente, questo tassello si lega al documento emanato dalla BCE a marzo per dettare le aspettative in tema di gestione delle sofferenze (cosa fare) e all’estensione (in corso) di quelle Linee Guida alla cosiddette Less Significant Institutions (chi deve fare). Si completa così un percorso di normalizzazione progressiva del sistema bancario nel suo complesso.
Il tema degli accantonamenti – prosegue Claudio Manetti – è certamente strategico: ancorché non operi su base retroattiva (si applicherà alle sofferenze classificate come tali a partire dal 1° gennaio 2018), esso induce in linea generale due importanti effetti. In primo luogo, fungerà da acceleratore del processo di gestione degli unlikely to pay, ossia di quei crediti che ancora sofferenze non sono, che sono meno coperti da accantonamenti e che rischiano – se non rapidamente gestiti – di trasformarsi in crediti deteriorati e richiedere nuove risorse economiche: inutile nascondersi, per altro, che all’interno di questa categoria sono mascherate molte sofferenze de facto per l’impossibilità di tante banche ad operare ulteriori accantonamenti oltre a quelli fatti per gli NPL. Questo punto è rilevante per i servicer: infatti, il ricorso alla gestione in outsourcing degli UtP crescerà rapidamente, poiché occorrerà tentarne il recupero e bisognerà farlo nel più breve tempo possibile: ciò porrà nuove sfide alle società di recupero crediti, che saranno loro stesse obbligate a ricercare dimensioni superiori a quelle attuali, forme organizzative maggiormente strutturate e piattaforme tecnologiche più evolute. Chi, tra loro, ha già queste caratteristiche, gode immediatamente di un grande vantaggio competitivo.
Il discorso fatto per gli UtP si applica anche a tutti i crediti coperti da garanzie: se il valore dei collateral vien meno col trascorrere del tempo (sette anni), molte previsioni fatte sulla recuperabilità dei crediti sottostanti dovranno essere riviste, con ulteriore possibile aggravio sui bilanci degli istituti. Per non parlare della necessità di aggiornare il valore reale delle garanzie stesse: una grande opportunità di crescita o di integrazione delle società di real estate apprisal.
A questo punto interviene il secondo effetto: accelererà anche il processo di concentrazione del sistema bancario, poiché le disposizioni connesse a queste linee guida imporranno – a chi non avrà i sufficienti requisiti di capitale per far fronte agli impegni richiesti – la ricerca di un alleato patrimonialmente più forte.
Quando i livelli minimi di accantonamento prudenziale entreranno a regime – conclude Claudio Manetti -, si dovrebbe infine compiere un ulteriore passo in avanti nel processo di cessione dei portafogli NPL: con sofferenze correttamente classificate e coperte, il tradizionale bid-ask spread è destinato a perdere di rilevanza. Se questa è – come sembra – una giusta medicina per il sistema, il Paese ha oggi un’occasione storica per realizzare un processo virtuoso di riequilibrio della domanda: la realizzazione di un mercato secondario degli NPL era un’indicazione forte da parte della stessa BCE.
Perché allora non pensare a strumenti, opportunamente vigilati, che convoglino il significativo risparmio privato italiano verso il business degli asset deteriorati?”