Cosa hanno in comune la banca ideale del futuro con Spotify? In realtà molto più di quel che si possa immaginare, grazie alla digitalizzazione e alla crescita delle fintech.
Le banche tradizionali, sotto alcuni punti di vista, sono state superate dalle fintech, come gli store musicali lo furono da iTunes e come quest’ultimo lo fu dallo streaming on demand. Questa è una delle riflessioni contenute in Reinventare le banche e la finanza (FrancoAngeli Editore) di Alessandro Hatami, Founder e Managing Partner di Pacemakers.io, e Hélène Panzarino, Managing Director del Global Rainmaking Colab FinTech Programme.
Un libro che analizza la trasformazione del settore bancario ripercorrendo le fasi del digital banking negli ultimi 20 anni, in cui identifica tre fasi di cambiamento: l’adattamento, l’evoluzione e la trasformazione.
La prima fase corrisponde al momento in cui le banche iniziano a replicare online le operazioni che fino ad allora erano svolte in filiale. Segue la fase evolutiva, in cui si utilizzano queste nuove capacità per creare nuovi prodotti e servizi che non sarebbe possibile offrire in filiale. La fase di trasformazione è l’ultimo stadio di questa evoluzione e prevede un superamento dei modelli operativi.
Un processo che ha forti analogie con quello attraversato dall’industria musicale con l’ingresso sul mercato di Spotify, che offre abbonamenti per accedere virtualmente a tutta la musica esistente.
Secondo gli autori lo Spotify bancario – o meglio la banca perfetta del futuro – è ancora in una fase embrionale. Per capire quali sono le caratteristiche della banca ideale abbiamo intervistato Alessandro Hatami.
Da cosa bisogna partire per reinterpretare e reinventare il mondo delle banche e della finanza? Serve un cambiamento di mentalità radicale?
No, direi un cambio di mentalità molto semplice: bisogna fare in modo che il focus delle banche passi dalla vendita di prodotti alla vendita di risultati per il cliente.
I clienti, infatti, sono interessati a comprare un servizio che consenta loro di ottenere quello che desiderano, non prodotti bancari che la banca vuole vendere a prescindere delle esigenze della clientela.
Avere una visione di questo genere renderebbe molto più semplice la trasformazione di cui si necessita e l’aspetto interessante è che questo modo di lavorare era tipico delle banche prima dell’industrializzazione.
Sta dicendo che la banca moderna ideale e la banca medievale hanno caratteristiche simili?
Esattamente. Il Banco di San Giorgio fondato a Genova nel 1407 è un prototipo ideale per la banca moderna perché si basava sull’interazione tra il cliente e l’istituto finanziario, dove quest’ultimo creava tutta una serie di prodotti e di servizi che erano disegnate per consentire al cliente di ottenere di cui aveva bisogno.
Il bancario non pensava al prodotto che doveva vendere per raggiungere un target imposto dalla sede centrale, ma pensava: questo cliente cosa vuole fare? Cosa so di lui? Quali sono i servizi che posso offrire in modo possa raggiungere il risultato sperato?
In questo modo, l’offerta di un prodotto bancario crea un vantaggio sia la cliente sia alla banca, grazie a un’equazione basata su dei principi: il primo quello di conoscere a fondo il cliente comprendendone le necessità, le capacità commerciali e le possibilità economiche. Questo rapporto nasceva dal fatto che il bancario e il cliente nel medioevo lavoravano e vivevano la stessa comunità, magari erano anche vicini di casa o addirittura amici.
Il secondo principio era la consapevolezza che il cliente trattato male poteva distruggere la reputazione del bancario e quindi quest’ultimo aveva tutto l’interesse a comportarsi in modo onesto.
Con il passare del tempo questo rapporto di fiducia fra cliente e bancario è venuto meno. Oggi il rapporto di un italiano medio con la sua banca è meccanico, il bancario di turno non ha controllo sul prodotto che viene offerto al cliente e sul pricing.
Un tempo invece il bancario medievale creava il prezzo giusto per quel cliente e personalizzava i prodotti proposti.
La digitalizzazione aiuta questo tipo di rapporto o fa allontana ancora di più la banca dalla clientela?
Lo aiuta perché oggi con la tecnologia si possono raccogliere molti dati che ci permettono di capire le caratteristiche di una persona, elaborare dei modelli di utilizzo del cliente di un certo prodotto o servizio, fare delle analisi e delle proiezioni sul comportamento del cliente, comprendendo in anticipo quale sarebbe il ritorno di un certo pricing.
Se la banca iniziasse a personalizzare anche i ritorni sulla base della soddisfazione dei bisogni dei clienti e il loro modo di agire, il ritorno economico sarebbe la conseguenza della stretta relazione con le necessità del cliente.
L’innovazione tecnologica e digitale riesce a rilevare come il cliente utilizza i servizi finanziari e sulla base di queste informazioni si possono offrire i prodotti più adatti.
Che ruolo hanno le fintech all’interno di questo sistema?
Immaginiamoci una situazione dove abbiamo creato la banca del futuro e l’utente della banca del futuro ha tre bisogni principali: pagare o ricevere pagamenti, avere credito, essere protetto. All’interno di questi ambiti vengono pensati e proposti prodotti che vanno a soddisfare queste esigenze.
Questi prodotti sono creati da entità molto diverse tra di loro, possono anche non essere create dalla banca stessa, ma in teoria la banca ideale dovrebbe offrire al proprio cliente l’accesso a tutti questi altri prodotti.
Solo così la banca diventa un consulente di fiducia e il cliente sa che l’istituto gli offrirà un prodotto o un servizio o un consiglio che gli sarà di aiuto nel raggiungere i suoi obiettivi.
Tutto questo significa che la banca diventa un punto di riferimento del cliente per accesso a tutti i servizi finanziari anche quelli creati da altri, incluse le fintech.
La banca si trasforma così nel portale di fiducia che l’utente ha per accedere a servizi finanziari che altrimenti sarebbero difficilmente accessibili o comprensibili dal cliente.
Dobbiamo immaginare una banca di fiducia che spieghi al suo cliente tutti i prodotti del mercato per soddisfare le sue esigenze.
Il sistema bancario e finanziario italiano come si posiziona all’interno di questo approccio al cliente?
C’è questa percezione degli italiani che loro sono indietro e questo non è assolutamente vero. Dobbiamo cominciare come Paese a renderci conto che sì abbiamo molta strada da fare ma che è così anche per tutti gli altri Paesi.
L’Italia ha tutte le caratteristiche per diventare e per confermare di essere uno dei leader fintech nel mondo.
Se guardiamo all’Europa le città più innovative di questo punto di vista sono Londra, Parigi e al terzo posto c’è Milano.
Il legislatore italiano sta diventando sempre più attivo e più interessato alla trasformazione digitale, rendendosi conto che questa trasformazione digitale creerà competizione nei servizi bancari. Una competizione che dovrebbe rendere più trasparente il mercato e più efficiente, a tutto vantaggio dell’utente finale.
Un altro aspetto importante, oltre alla dimensione del mercato fintech, è il talent Italia: noi abbiamo alcune delle scuole e delle università migliori d’Europa.
Insomma, dobbiamo riconoscere che stiamo contribuendo a questo sviluppo.
Un lato su cui bisognerebbe lavorare è l’accesso al capitale e le agevolazioni fiscali in caso di investimento in una startup che non parta subito al meglio.
L’Italia dovrebbe avere un impatto più grande sul mercato è ciò può accadere se si combatte la percezione di non essere importanti come gli altri Paesi.
Il resto dell’Europa non è molto molto avanti all’Italia, anzi direi che in alcuni ambiti siamo avanti noi, si pensi ai successi di Scalapay e Satispay, che secondo me sono le prime di un’ondata di aziende digitali italiane che avranno successo.
È bene rendersi conto a tutti i livelli che la fintech è qui e non se andrà.
Ci fa un esempio di come dovrebbe essere la banca-modello Spotify ipotizzata nel volume?
I sistemi bancari stanno avendo un’evoluzione non dissimile dal settore musicale, dove a un certo punto la risposta della tecnologia non era quella di creare una versione digitale del prodotto che esisteva nel negozio, ma di creare un paradigma completamente diverso: invece di comprare musica noi compriamo accesso alla musica.
Lo Spotify della banca è un’azienda che si concentra sul risultato che il cliente vuole.
Prendiamo come esempio un giovane che ha accesso a questa banca del futuro e a cui a un certo punto si rompe la lavatrice. Ha dunque l’esigenza di comprare una nuova lavatrice, chiama la banca e chiede un prestito. La banca accorda il prestito che diventa un debito nell’interno della situazione finanziaria della persona. In parte l’acquisto viene compensato dai fondi liquidi che ha la persona sul conto con la consapevolezza che alla fine del mese questi fondi verranno detratti da alcuni degli investimenti in cui erano impegnati e per il resto viene creata una posizione di credito aperta dalla banca stessa senza che il cliente debba interessarsi di tutto.
L’ideale sarebbe arrivare a che sia la banca a trovare e applicare la soluzione migliore a ogni esigenza del cliente, fatta salva ovviamente la possibilità di quest’ultimo di rifiutare la quanto proposto dall’istituto.
Una soluzione che deve essere un win-win: ovvero economicamente valida per il cliente e per la banca.
Operando in questo modo cresce la consapevolezza nell’utente che la banca sia un valido supporto a cui accordare fiducia.
L’evoluzione della banca digitale del futuro dovrebbe permettere di avere un “bancario in tasca”, nel senso di sempre a disposizione in caso di necessità.
Portando all’estremo questa situazione, possiamo arrivare a una finanza integrata (embedded finance) dove la persona va direttamente a comprare la lavatrice e al pagamento dal rivenditore, la banca organizzi la soluzione migliore per il cliente senza che sia necessario un contatto diretto con l’utente.
Alla base di questa evoluzione deve esserci un’estrema fiducia e la consapevolezza che la banca non si approfitterà di lui. È questo il rapporto di fiducia da costruire.