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L'inflazione morde, ma quanto aumentano davvero i prezzi?

L’inflazione morde, ma quanto aumentano davvero i prezzi?

Sempre più alta la preoccupazione per l’inflazione nel nostro paese; cresce l’insoddisfazione dell’attuale situazione economica e finanziaria.

Inflazione, questa (s)conosciuta…

E’ il suo momento, quasi fosse una star del cinema dell’epoca d’oro hollywoodiana o di quella di Cinecittà, sulla bocca di tutti e fotografata in ogni occasione. No, non stiamo parlando dell’ultima star o starlette, o dell’ultimo divo sbarcato a Venezia od approdato a Roma per le due mostre internazionali del cinema, ma piuttosto di qualcosa di molto più prosaico.

Perché la protagonista assoluta di questo momento, che ci piaccia o meno (e non ci piace per niente, occorre sottolinearlo), è l’inflazione.

Sulle pagine di Credit News abbiamo parlato spesso di questi argomenti. Ma non solo di inflazione; lo abbiamo fatto anche per tutto ciò che contorna questo fenomeno, come recessione e deflazione, ed abbiamo affrontato anche argomenti che toccano direttamente la questione, ma affrontandoli da angolature diverse da quelle usuali, come l’analisi del Big Mac Index o la “trickle-down economics“. Trovate il corpus completo dei nostri articoli su questi argomenti qui.

Come e quanto gli italiani sono insoddisfatti

L’istituto di data collection ed analisi IPSOS ci fornisce dati estremamente interessanti su questo fenomeno, aggiornati a fine luglio 2022, quindi allo scorso trimestre.

Nonostante la maggior parte degli italiani dichiari di non intravedere, nei prossimi 12 mesi, una modifica sostanziale della propria situazione economica, la preoccupazione per l’inflazione in Italia nel 2022 rimane elevata, con una nazione spaccata in due tra soddisfatti e insoddisfatti della propria condizione economica, ed un aumento di questi ultimi negli ultimi mesi, come succede in ogni periodo di crisi.

Al momento della rilevazione (come detto, a fine luglio), la percentuale di italiani che si dichiarano soddisfatti della propria condizione economica è del 51% (meno 5 punti rispetto a maggio 2022) e, al contrario, si registra un aumento della quota di insoddisfatti (49% a luglio 2022 vs. 44% a maggio 2022).

Quel che c’è da notare è che siamo quasi sulla parità tra le due “sensazioni economiche”, e non è un bene. Chi, infatti, si sente a suo agio, e vive bene, in una nazione dove un cittadino su due si dichiara non soddisfatto della propria condizione economica complessiva?

Una percentuale di insoddisfatti ci sarà sempre, statisticamente. L’abolizione della povertà, lungi dall’essere non solo raggiunta, ma anche avvicinata (nonostante le promesse farlocche di qualche partito politico inconcludente) non è raggiungibile attualmente; sul perché ed il percome dedicheremo un articolo a questo argomento nel prossimo futuro.

Ma questa percentuale di insoddisfatti di solito è il doppio, o persino il triplo, dei poveri assoluti, che in Italia sono il 10%. Arrivare a praticamente un 50% di insoddisfatti non è un buon segno.

Giova però notare, perché non bisogna esagerare in negativo, che “insoddisfatto” non significa “povero”. Significa che si preferirebbe avere di più, magari poco, per stare tranquilli, ma comunque di più, e senza esagerare.

I motivi dell’insoddisfazione degli italiani? Fondamentalmente due, senza tanti giri di parole:

  • aumento del costo della vita: il 60% degli italiani dichiara di avere difficoltà a far quadrare tutti i conti;
  • preoccupazione per il futuro: il 50% afferma di non avere risparmi o di non riuscire a risparmiare.

Aumento dei prezzi percepito in più categorie di spesa

Come è ovvio, l’aumento dei prezzi viene percepito maggiormente a livello dei prodotti alimentari e di quelli per la casa e l’igiene personale. Perché? Perché sono quelli che compriamo più spesso e che, inconsciamente, conosciamo meglio. E’ quindi evidente che la percezione dell’aumento sia più presente in quelle categorie merceologiche con cui siamo più familiari.

L’81% degli intervistati da IPSOS dichiara di aver percepiti ulteriori aumenti (contro il 74% a maggio). Al contempo, rispetto alla precedente rilevazione di maggio 2022, l’aumento dei prezzi percepito si è esteso a un numero più alto di categorie.

Ma dove sono state registrate le maggiori variazioni?

  • Prodotti per l’igiene della persona +39%.
  • Abbigliamento, calzature e accessori +34%.
  • Bevande analcoliche +39%.
  • Prodotti per la bellezza (cosmetica/dermo-cosmetica), in aumento del 38%.

Anche nell’ampio settore dei servizi e del tempo libero la situazione è la stessa: aumento percepito in un maggior numero di categorie. Qui i rincari maggiori percepiti sono stati:

  • Viaggi e vacanze +42%.
  • Servizi finanziari, bancari e assicurativi +43%.
  • Entertainment (musica, video, abbonamenti TV/internet) +46%.

Il paradosso del comportamento delle aziende in merito all’inflazione

Vi ricordate il famoso detto “piove sul bagnato”? L’espressione, di origine colta (si deve al Pascoli) indica che le disgrazie spesso non vengono mai sole, o così appare a chi soffre e crede di essere tormentato dalla sfortuna.

In questo caso, in merito all’inflazione, le aziende produttrici di beni di consumo hanno risposto al rincaro dei prezzi dei prezzi dei loro fornitori con la shrinkflation, fenomeno che abbiamo descritto in dettaglio in questo articolo, e che si traduce in un semplice e leggermente crudele “essere fregati al supermercato”.

Proprio così, perché la shrinkflation altro non è che, da parte dell’azienda, la riduzione del volume di una confezione di prodotto senza aumentarne il prezzo. Lo scopo è mantenere il proprio margine di guadagno erogando meno merce al consumatore, e di ritardare la percezione di quest’ultimo di stare comprando meno prodotto pur pagandolo lo stesso prezzo.

Una truffa autorizzata? No, solo una spietata strategia di marketing, che conta molto sulla proverbiale (ahinoi, a ragione…) disattenzione dei consumatori. E’ il mercato, bellezza…

Qualche buona notizia? Più del 50% dei consumatori, dice la rilevazione di IPSOS, si è accorto della shrinkflation, ed al 68% degli italiani non piace questa strategia di marketing; piuttosto, preferirebbero un aumento di prezzo a parità di quantità di prodotto (“aumentami il prezzo della bottiglia da 2L di Coca-Cola, ma non portarmela a 1,75L allo stesso prezzo di quella da 2L”). Il restante 32%, invece, accetta la shrinkflation.

Ci permettiamo appena di farvi riflettere sul fatto che questa percentuale, per quanto nettamente inferiore all’altra, è decisamente molto superiore al “percepito”, cioè al sentire comune su questi argomenti se ne parlate con persone che conoscete, come chiacchiera da bar e/o informale.

Evidentemente c’è una grande differenza di espressione di opinione, da parte delle persone, tra il sentire comune e quello che si dichiara ad un intervistatore, fenomeno sociologico che meriterebbe un approfondimento in sede opportuna.

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