Per l’anno prossimo le previsioni economiche concernenti il modo del lavoro non sono particolarmente buone; in comparazione al 2022 la crescita del PIL e dei consumi delle famiglie tenderà ad un triste zero, e ciò contribuirà ad aumentare il numero dei disoccupati di almeno 63 mila unità.
Con e senza lavoro
Il numero totale dei senza lavoro, infatti, il prossimo anno sfiorerà la quota di 2.118.000. In termini completi ed assoluti, le situazioni più pesanti si verificheranno (purtroppo) nel Centro-Sud. Una situazione che già oggi presenta un livello di fragilità occupazionale molto preoccupante.
Napoli, Roma, Caserta, Latina, Frosinone, Bari, Messina, Catania e Siracusa saranno le province che metteranno a segno gli aumenti maggiori. A dirlo è l’Ufficio studi della CGIA di Mestre a fronte di una elaborazione dei dati ISTAT e delle previsioni Prometeia.
La disoccupazione salirà all’8,4 per cento
Anche se influenzata dal rientro nel posto di lavoro dei sottoposti alla cassintegrazione e dalla stabilizzazione dei contratti a termine, qualche giorno fa l’Istat ha segnalato che ad ottobre 2022 l’occupazione ha toccato il record storico.
Un grande risultato che, comunque, potrebbe capovolgersi nel giro di qualche mese. Nel 2023, infatti, il tasso di disoccupazione è destinato a salire all’8,4 per cento.
Un livello, comunque, che torna ad allinearsi con il dato del 2011. Quello fu l’anno che ha anticipato la crisi del debito sovrano del 2012-2013, tra l’altro.
Come già detto, il Centro-Sud sarà la zona geografica più “colpita”. Il totale della somma dei nuovi disoccupati delle tre principali regioni in questa poco lusinghiera classifica sarà pari al 58% del totale nazionale. Nello specifico, Sicilia, Lazio e Campania.
Il podio delle province più colpite: Napoli, Roma e Caserta
A livello del territorio le 10 province più interessate dall’aumento della disoccupazione saranno Napoli, Roma, Caserta, Latina, Frosinone, Bari, Messina, Catania, Siracusa e Torino.
Poche le realtà territoriali che, invece, vedranno diminuire il numero dei senza lavoro. Si segnala, in questo caso, un podio composto da Perugia, Lucca e Milano.
I settori di lavoro che presenteranno più difficoltà
Non è decisamente per niente facile stabilire, mentre scriviamo, i settori che il prossimo anno saranno più interessati dalle riduzioni lavorative.
Sembra comunque di capire che i comparti della manifattura, soprattutto quelli energivori e più legati alla domanda interna, potrebbero avere dei contraccolpi a livello di lavoro.
Al contrario, le imprese più attive nei mercati globali, tra cui spiccano quelle della metalmeccanica, dei macchinari, dell’alimentare-bevande e dell’alta moda, saranno meno esposte.
Non è tutto qui. Stando al sentiment di molti esperti e di altrettanti imprenditori, altri settori di lavoro saranno interessati da diverse difficoltà. Saranno i trasporti, la filiera automobilistica e l’edilizia. Quest’ultima verrà penalizzata dalla modifica legislativa relativa al superbonus.
C’è preoccupazione per il lavoro autonomo
Gli ultimi dati presentati nei giorni scorsi dall’ISTAT fanno riflettere. Dal febbraio 2020 (mese pre Covid) fino a ottobre 2022 (ultimo dato disponibile), i lavoratori indipendenti (sono inclusi anche i soci di cooperative, i collaboratori familiari, etc.) sono scesi di 205 mila unità. I lavoratori dipendenti sono aumentati di 377 mila.
Tra questi ultimi si registra, in particolar modo, l’incremento del numero degli occupati con un contratto a tempo determinato.
In ogni caso, questa comparazione evidenzia che la crisi pandemica e quella energetica hanno colpito soprattutto le partite IVA, cioè i lavoratori autonomi. A differenza dei lavoratori subordinati, infatti, gli autonomi sono sicuramente più fragili.
Giova ricordare, infatti, come abbiano pochissime tutele. Rispetto ai dipendenti, ad esempio, non dispongono di malattia, ferie, permessi, TFR e tredicesime/quattordicesime.
In caso di difficoltà momentanea, non hanno né CIG né, in caso di chiusura dell’attività, di alcuna forma di NASPI.
Inoltre, come ricorda sempre l’ISTAT, il rischio povertà nelle famiglie dove il reddito principale è riconducibile esclusivamente ad un autonomo è superiore a quelle dei dipendenti.
Un problema che colpisce tutta la società
La chiusura di tantissime piccole attività economiche è purtroppo evidente anche a occhio nudo. Basta girare a piedi per città, cittadine e financo paesi per accorgersi che sono sempre più numerosi i negozi e le botteghe con le saracinesche abbassate 24/7.
Il rischio che tutto questo possa mettere a repentaglio la coesione sociale del Paese è evidentemente molto forte.
Le chiusure stanno interessando sia i centri storici sia le periferie delle città, gettando nell’abbandono interi isolati. Al contempo, provocano un senso di vuoto e un pericoloso peggioramento della qualità della vita per chi abita in queste realtà.
Meno visibile, ma preoccupante lo stesso, sono le chiusure che hanno interessato anche i liberi professionisti. Vale a dire gli avvocati, i commercialisti e i consulenti che svolgevano la propria attività in uffici/studi ubicati all’interno di un condominio.
Insomma, le città stanno cambiando volto e pelle: con meno negozi e uffici sono meno frequentate, diventano più insicure e il degrado sale.
La cessazione di attività sta colpendo anche coloro che, storicamente, sono sempre stati in concorrenza con i negozi di vicinato, vale a dire i centri commerciali.
Anche la Grande Distribuzione Organizzata (GDO) è in difficoltà. Non sono, infatti, poche le aree commerciali al chiuso che mostrano intere zone dell’immobile chiuse al pubblico. Questo perché le attività presenti precedentemente hanno, purtroppo, abbassato definitivamente le saracinesche.