Il mondo economico e finanziario è pieno di sigle, come e forse più di ogni altro ambito lavorativo umano. Non solo, ma vi si riscontra anche un’ampia percentuale di anglicismi, ossia vocaboli inglesi di cui quasi sempre (ma non sempre, a dire il vero) esiste un corrispondente in italiano, ma che vengono usati spesso più per abitudine che per reale necessità.
La stessa cosa vale per i sottosettori dell’appena citato mondo economico-finanziario. E il settore del credito non fa certo differenza.
Parliamo quindi di due sigle dal significato sconosciuto ai più, vale a dire UTP e NPL, ma che rivestono un’ampissima importanza. Aggiungiamoci anche un vocabolo probabilmente ancora meno comprensibile, cioè “forborne“.
L’allarme sui crediti
Stiamo parlando delle principali classificazioni dei prestiti bancari quando essi mostrano difficoltà, alcune passeggere e altre continuative, tali da ridurre il valore del prestito.
Infatti, quando la banca presta denaro alle famiglie od alle imprese, non è certa al cento per cento di riaverlo indietro, quel denaro (è il rischio a cui la banca è sottoposta per il lavoro principale che fa, ovvero prestare denaro, e che dovrebbe essere anche l’unico, ma questa è un’altra storia…) per cui si cautela raccogliendo informazioni finanziarie sulle prospettive di tenuta dei redditi o dei ricavi, e poi chiedendo garanzie immobiliari o patrimoniali.
Già, proprio così. Purtroppo, soprattutto durante i momenti di crisi, le imprese, e un po’ meno le famiglie, cominciano a non rispettare gli impegni presi e non ce la fanno a rimborsare le rate secondo i piani contrattuali previsti.
Allo stesso tempo, gli istituti di credito non possono far finta di niente, e considerare quel prestito come se non avesse problemi; devono prendere atto che il loro credito vale meno, e devono svalutarlo secondo criteri ben definiti, con possibili conseguenze sulla propria capacità del patrimonio di assorbire le perdite.
Il patrimonio, è bene ricordarlo, è costituito dal capitale versato dai soci, dalle riserve e dagli utili non distribuiti. Sono i cosiddetti fondi propri, o mezzi propri, come più comunemente ci si riferisce a loro.
Addentriamoci quindi in quelli che poi non sono altro che tre casi di allarme sui crediti.
Il significato di queste parole
Iniziamo con “forborne“, che potremmo tradurre come “pazientare”. Si tratta, cioè, di quando un credito evidenzia le prime avvisaglie che qualcosa non va come dovrebbe.
La banca cerca, per esempio, di allungare le scadenze e lavorare sui tassi. Insomma, cerca di venire incontro al debitore per evitare che la situazione peggiori ulteriormente, e che quest’ultimo non sia più in grado di onorare gli impegni.
Il prossimo vocabolo è UTP, che non è nient’altro che un acronimo, cioè una parola composta da una serie di iniziali delle parole sottostanti. In questo caso UTP vuol dire “Unlikely To Pay“, traducibile con un “difficile che paghi“, situazione che si verifica quando il mancato pagamento diventa molto probabile, e sono già state avviate iniziative per recuperare i soldi prestati.
L’ultimo vocabolo è NPL, ovvero “Non Performing Loans“, cioè prestiti non performanti (od esigibili), ma codificati ormai come deteriorati.
Bisogna quindi prendere atto che il prestito è finito malissimo, e che toccherà agli avvocati provare a recuperare qualcosa, con prevedibili tempi lunghi.
Severità bancaria o solo logico buon senso?
Pensate che le banche siano troppo severe? Forse sì… ma anche forse no. Bisogna sapere che le banche, negli ultimi anni, sono state regolamentate in modo stringente, perché un loro fallimento avrebbe conseguenze gravi per chi ci ha depositato i soldi, per chi ci lavora, e per la probabile conseguente perdita di fiducia dell’intero sistema economico.
Questa perdita di fiducia, è facile capirlo, potrebbe intaccare anche le banche sane. Quindi gli istituti di credito devono, per legge, avere un patrimonio forte per reggere gli urti delle crisi economiche e finanziarie, e per continuare a erogare finanziamenti per sostenere l’attività di imprese e famiglie.
Perciò, se la quantità dei prestiti di improbabile recupero, o definitivamente irrecuperabili, pesa troppo sul proprio patrimonio, le banche vengono invitate dalle autorità ad intervenire con modalità precise.
Possono anche vendere ad altri i loro crediti malati, tanto che sono ormai molte le società specializzate nel recupero crediti, oppure possono tentare di gestirli al proprio interno con delle strutture specializzate.
In riferimento a quanto appena detto, nel primo caso si riesce a sapere subito quanto è stata la perdita, mentre nel secondo si spera di recuperare molto, ma bisogna accantonare dei fondi a protezione delle potenziali perdite, perché se una banca perde troppo patrimonio deve ricostituirlo il più velocemente possibile.
In che modo? Ovviamente chiedendo soldi ai soci o anche a nuovi azionisti, e se fatica a trovarli, come già accaduto (anche) nel recente passato, diventa un problema per tutti, e tocca alle banche centrali, come la BCE, od alla Banca d’Italia, di trovare poi la soluzione.