Una provocazione? No, è tutto vero. L’intelligenza artificiale non esiste. Non ancora almeno, perché quella che vediamo ogni giorno non è IA, ma solo forme sempre più evolute di Machine Learning (apprendimento automatico).
Partiamo dalle definizioni
Sul sito del Parlamento Europeo si trova questa: “L’intelligenza artificiale (IA) è l’abilità di una macchina di mostrare capacità umane quali il ragionamento, l’apprendimento, la pianificazione e la creatività. L’intelligenza artificiale permette ai sistemi di capire il proprio ambiente, mettersi in relazione con quello che percepisce e risolvere problemi, e agire verso un obiettivo specifico.
Il computer riceve i dati (già preparati o raccolti tramite sensori, come una videocamera), li processa e risponde. I sistemi di IA sono capaci di adattare il proprio comportamento analizzando gli effetti delle azioni precedenti e lavorando in autonomia.”
Su Wikipedia, il sito più consultato del mondo insieme a Google, si trova invece quest’altra: “L’intelligenza artificiale (o IA) è una disciplina che studia se e in che modo si possano realizzare sistemi informatici intelligenti in grado di simulare la capacità e il comportamento del pensiero umano.”
Marco Somalvico, una delle persone che per prime in Italia si occupò dell’argomento, insegnandone a partire dal 1980 al Politecnico di Milano, approfondì la questione. Egli disse che “L’intelligenza artificiale è una disciplina appartenente all’informatica che studia i fondamenti teorici, le metodologie e le tecniche che consentono la progettazione di sistemi hardware e sistemi di programmi software capaci di fornire all’elaboratore elettronico prestazioni che, a un osservatore comune, sembrerebbero essere di pertinenza esclusiva dell’intelligenza umana.
Perché si parla tanto di intelligenza artificiale?
Perché è il futuro prossimo e remoto, e non solo. Anche l’immediato. E perché è affascinante, terribilmente affascinante, sapere di poter interloquire con una macchina che ti capisca.
Non solo. La cultura di massa, la cosiddetta pop culture, a cui appartengono tanti film di fantascienza, ha reso popolare l’argomento sin dai lontani anni ‘80 del secolo scorso, ed anche prima, a dire il vero.
Chi non si ricorda di Blade Runner e dei suoi androidi? Chi non avrebbe voluto interloquire (come minimo) con una Priss (l’androide di piacere interpretato da Daryl Hannah)?
E Blade Runner è solo un esempio, ovviamente. Come non citare anche dei capisaldi del genere, come il memorabile 2001 Odissea nello Spazio di Kubrick, I.A. Intelligenza Artificiale di Spielberg (una rilettura di Pinocchio davvero sorprendente), o l’antesignano di tutti, il Metropolis di Fritz Lang del 1927?
Ed ancora Westworld (l’originale del 1973, a cui si rifà l’attualissima serie TV), Tron (strepitoso per l’epoca), Terminator di James Cameron, l’anime (cartone animato giapponese) Ghost in the Shell, l’Uomo Bicentenario di asimoviana memoria, Minority Report (tratto da un racconto di Philip K. Dick, come Blade Runner), Corto Circuito, ed un altro film d’animazione Disney, Wall-E.
Fino ad arrivare ai tre più inquietanti (come se Terminator non lo fosse abbastanza), cioè Matrix, Her e Ex Machina.
I più attenti di voi avranno già notato una cosa. Quando si parla di intelligenza artificiale, almeno al cinema, si pensa (per meglio dire, ti fanno pensare) quasi sempre a robot umanoidi, androidi, appunto, con cui interagire.
Il motivo è presto detto: è molto più facile ingannare qualcuno se un qualcosa si comporta da umano, anche se non lo è. E, come effetto cinematografico di sorpresa e sgomento, sapere che quel qualcosa che sembra umano ma non lo è, sembra umano, perché un programma è così evoluto da farlo interagire con noi come se fosse umano, pone molte domande esistenziali.
E’ per questo che l’intelligenza artificiale è terribilmente affascinante.
Ma è realmente intelligenza artificiale?
Secondo molti, sì; secondo altri, no. Se per intelligenza, al di là delle definizioni che abbiamo fornito, si intende interazione, allora è intelligenza artificiale.
Come ChatGPT, il chatbot che sta attualmente impazzando su Internet (ed a cui noi abbiamo dedicato un recentissimo articolo, che trovate qui), opera di OpenAI, un’azienda di Elon Musk, che consente di interagire con un evoluto algoritmo di apprendimento automatico profondo (deep learning), a cui rivolgere domande, dubbi, problematiche; in una parola, di interagirci come se fosse un essere umano.
Ma se per IA si intende altro, si intende il momento in cui una macchina avrà piena coscienza di sè, cioè quell’istante che i futurologi chiamano singolarità, allora non è intelligenza artificiale, ma solo machine learning, cioè una macchina che sì, impara automaticamente, ma che è incapace di pensiero autonomo.
E, forse, dovremmo essere contenti che le macchine ancora non siano capaci di quest’ultima azione. Perché, quando lo saranno, avremo (probabili?) futuri come quelli delineati nei tre film finali che abbiamo citato.
In Her (Lei), un uomo si innamora, ricambiato, del sistema operativo interattivo femminile del proprio computer, ma questo, interagendo con altri OS, si allontana sempre più dall’umano, perché “l’enorme velocità di elaborazione e di evoluzione delle intelligenze artificiali sta portando lei e i suoi simili sempre più lontano dalla percezione umana, e le è sempre più difficile riconoscersi nel rapporto con essi”, fino ad abbandonarlo, come potrebbe fare un altro essere umano.
In Matrix, l’umanità è schiava delle macchine che ci tengono in “una neuro-simulazione interattiva costruita sul modello del mondo del 1999, per tenere calmi gli umani coltivati, immobilizzati fin dalla nascita e nutriti con i cadaveri dei defunti.” In definitiva, ci vedono solo come pile biologiche che gli possano fornire calore ed energia, perché, come dice l’agente Smith (il cattivo del film) “…gli esseri umani sono un’infezione estesa, un cancro per questo pianeta: siete una piaga.” E potrebbe non avere torto, visto come stiano sfruttando e trattando il pianeta.
In Ex Machina, un androide femminile dalle fattezze perfettamente umane circuisce un essere umano per indurlo a liberarlo dalla casa-esperimento in cui quest’ultimo l’ha conosciuta, ed ovviamente ci riesce, dimostrano un’intelligenza assolutamente simile a quella di una persona priva di scrupoli.
In conclusione
Fredric Brown, geniale scrittore di fantascienza famoso per i suoi racconti brevissimi (chi non ricorda il celeberrimo “La sentinella”?), in un altrettanto celebre racconto dal titolo “La risposta”, dopo 60 e passa anni, fa ancora riflettere sull’intelligenza artificiale e le sue conseguenze.
Nel racconto, un universo di 96 miliardi di pianeti abitati attende con ansia l’accensione di un supercalcolatore che li collegherà tutti. Quando viene acceso, uno dei ricercatori ha il compito di porre la prima domanda. Deve essere un interrogativo a cui nessuna macchina sia mai stata in grado di rispondere.
“Dio esiste?”. “Adesso sì.” risponde la macchina e, prima che quello possa staccare la spina, terrorizzato dalla consapevolezza che la macchina sia ben superiore all’essere umano, un fulmine comparso all’improvviso lo disintegra sul momento.