È dal 2020 che ci si aspetta un’ondata di NPL. Un flusso di crediti deteriorati che in realtà finora non c’è stato, anche grazie agli interventi statali. Cosa aspettarsi nel 2024?
In base all’ultimo bollettino della BCE, nella zona euro le imprese finanziariamente vulnerabili sono in aumento, soprattutto in Italia e in Germania. A livello settoriale, a soffrire sono in particolare l’industria, le costruzioni e il commercio.
Una situazione che non sorprende e che probabilmente è destinata a peggiorare. Il 2024 che si apre, infatti, con la crisi in Mar Rosso, i conflitti in Ucraina e a Gaza ancora in corso, un’inflazione tutt’ora preoccupate, una contrazione del credito alle imprese dopo la crescita del 2020-2021, costi delle materie prime e tassi di interesse più alti che in passato, un rallentamento nei consumi e del PIL.
Tutte condizioni che favoriscono la vulnerabilità delle imprese che si trovano così ad avere maggiori difficoltà nel ripagare i propri debiti.
Il 2024 sarà l’anno in cui si registrerà un forte aumento dei crediti deteriorati? Ne abbiamo parlato con Giovanni Boccuzzi, Amministratore Delegato di BCA Banca (Gruppo Bancario IBL Banca).
In un contesto molto instabile, dominato da tassi di interesse alti, inflazione, guerre e tensioni geopolitiche, oltre a un diffuso rallentamento economico. Cosa possiamo aspettarci per il 2024 sul fronte dei crediti deteriorati?
La diffusa incertezza del panorama geopolitico ed economico internazionale sta comportando significative tensioni sui mercati delle materie prime e su quelli finanziari e uno scarso dinamismo del commercio mondiale, con effetti sull’economia interna.
Questi fattori potrebbero portare ad un ulteriore deterioramento del quadro congiunturale, tale da condizionare l’accesso al credito da parte di famiglie e imprese e determinare una riduzione della capacità di assolvimento del debito già assunto.
Nell’ultimo anno, peraltro, i rialzi dei tassi hanno portato ad un aumento del costo del credito, avvenuto con una velocità direi impressionante.
In tale contesto, l’economia italiana al momento sembra essere alquanto resiliente grazie soprattutto a due fattori: lo stimolo fiscale espansivo e i livelli occupazionali in aumento.
In parallelo, lo stock di NPE sui bilanci delle banche italiane, che aveva raggiunto il picco nel 2015 con un livello pari a 341 miliardi di euro, è progressivamente diminuito attestandosi, a giugno 2023, a 56 miliardi di euro, costituiti da 21,1 miliardi di sofferenze, 30,5 miliardi di UTP e 4,4 miliardi di scaduti.
Un risultato ottenuto grazie all’importante attività di de-risking, con imponenti operazioni di cessione, ma anche da un tasso di deterioramento del credito sotto l’1% in media negli ultimi quattro anni.
Considerati gli attuali livelli di NPE, a nostro avviso le banche italiane nel primo semestre 2024 svolgeranno principalmente un’attività di studio e programmazione.
Il secondo semestre potrebbe essere il momento nel quale assisteremo a manovre di alleggerimento. Tali operazioni potrebbero essere la risposta di alcuni operatori ad un probabile deterioramento del credito classificato in stage 2, soprattutto dei crediti forborne performing oggetto nel passato di concessioni. Lo stage 2 del portafoglio in bonis delle banche italiane si è attestato ad una percentuale dell’11,2% rispetto ad una media europea del 9,2%.
Le cessioni NPE, comunque, saranno trainate principalmente dal mercato secondario.
Le banche italiane hanno diminuito lo stock di NPE, ma si trovano comunque a dover gestire crediti incagliati e ritardi nei pagamenti. Quali strategie e competenze, secondo lei, saranno più efficaci?
Oggi le banche italiane sono in terza posizione in Europa come stock di NPE in valore assoluto; l’incidenza sul totale crediti è inferiore al 3%, ma superiore alla media europea.
Per affrontare con successo la gestione dei crediti UTP e in stage 2 continuano ad essere essenziali le competenze tipiche bancarie: l’analisi del merito creditizio, la conoscenza degli strumenti per la gestione della crisi di impresa e la capacità di formulare piani di rientro sostenibili nel lungo periodo. Per la gestione delle posizioni sulle quali l’approccio è di tipo gone-concern occorre gestire la dismissione degli asset; questa azione, se favorita da accordi con i debitori può consentire una valorizzazione massima dei recuperi evitando il ricorso a procedure esecutive. Per questo, è fondamentale avere rapporti con investitori in ambito real estate.
Le priorità possono essere riassunte in azioni volte a favorire una gestione proattiva degli scaduti spostando il focus dalla gestione industriale verso soluzioni più sofisticate finalizzate a massimizzare il back to bonis e a creare partnership nell’eco-sistema coinvolgendo investitori, banche e servicer.
L’intervento di investitori qualificati in crediti non performing potrà favorire l’ulteriore dismissione degli NPE da parte delle banche, anche se occorrerà trovare un punto di equilibrio nella valorizzazione delle cessioni.
Il mercato secondario italiano degli NPE risulta essere appetibile per gli investitori oggi? Come potrebbe esserlo di più?
Il mercato secondario raccoglie già notevole interesse da parte degli investitori. Oggi il più grande ostacolo alle cessioni di crediti sul secondario è la forbice di prezzo tra bid e ask. L’aumento dei tassi di interesse e dei costi di recupero dovuti all’inflazione hanno fatto crescere le attese di rendimento da parte degli investitori.
Il livello di stock di crediti deteriorati nel mercato secondario è talmente importante che ci sarà spazio per selezionare portafogli e singole posizioni su cui investire, in una prospettiva di creazione di valore per gli stakeholders coinvolti, debitori compresi. Il livello di NPE attualmente in mano agli investitori è pari, al 30 giugno 2023, a circa 255 miliardi: un importante pezzo dell’economia italiana è coinvolta.
È un momento di grande fermento anche dal punto di vista normativo. Quali sono gli aspetti positivi e quelli critici della Secondary Market Directive dell’UE e delle proposte di modifica per il recepimento della direttiva in discussione in Italia?
In verità, in questa fase, non sembra possano essere introdotti contenuti particolarmente innovativi rispetto all’attuale prassi di mercato. La grande novità è la trasformazione della prassi di mercato in legge, riconoscendo così anche il valore del lavoro fin qui svolto dagli operatori del settore.
Un punto critico nel contesto italiano riguarda un’eccezione specifica che la Direttiva NPL formula con riguardo ad alcune operazioni di cartolarizzazione e alla specifica definizione di “veicolo di cartolarizzazione” contenuta nella Direttiva, ottenuta con un semplice rimando al Regolamento UE 2017/2014. La definizione di veicolo contenuta in questo Regolamento è concettualmente diversa rispetto a quella contenuta dalla normativa nazionale: la Legge 130 del 1999, infatti, non prevede il requisito della segmentazione del rischio come elemento caratterizzante una cartolarizzazione. Nella prassi del mercato nazionale, la differenza tra le due fattispecie è nota.
Occorrerà quindi verificare se l’attuazione della Direttiva NPL possa comportare conseguenze sui servicer. Se, da un lato la Direttiva non ha conseguenze sulla figura del master servicer, dotato di licenza bancaria o 106 TUB, dall’altro potrebbe impattare molto sui soggetti da quest’ultimo delegati per le attività di riscossione. Ove, quindi, le attività svolte da questi soggetti ricadano nel campo di applicazione della Direttiva NPL, gli stessi saranno tenuti a conformarsi alle relative disposizioni, tra le quali l’ottenimento di autorizzazioni e l’adozione di un sistema organizzativo interno.
Altro aspetto da considerare con attenzione è la possibilità per il legislatore nazionale di rimuovere il limite attualmente previsto dalla normativa in relazione all’acquisto di Crediti Non-performing da parte di società di recupero crediti ex art. 115 TULPS, che sembrerebbe poter essere eseguito senza limitazioni, o meglio, nei limiti delle risorse finanziarie disponibili per ciascun acquirente.