Intervista al responsabile crediti di Banca Etica sulle condizioni di accesso al mercato bancario da parte di famiglie e imprese e sul ruolo che la finanza etica potrà avere per promuovere la ripresa economica
Nata nel 1999 Banca Etica è la prima banca italiana interamente dedicata alla finanza etica. La banca raccoglie il risparmio di organizzazioni e cittadini e lo utilizza interamente per finanziare progetti finalizzati al benessere collettivo. Il Gruppo Banca Etica è composto anche da Etica Sgr, società di gestione del risparmio che propone esclusivamente fondi comuni di investimento etici e, dal 2019, da Cresud SpA che eroga credito a Organizzazioni di microfinanza, Produttori di commercio equo e sostenibile, Cooperative, Reti, Associazioni e ONG in America Latina, Africa ed Asia. L’istituto ha recentemente diffuso il suo terzo Rapporto sull’inclusione finanziaria, realizzato al fine di stimare le condizioni di accesso al mercato bancario da parte di famiglie e imprese italiane. Per conoscere meglio i risultati dello studio, ma anche per capire come la finanza etica possa essere una strada da percorrere per promuovere la ripresa economica, abbiamo intervistato Sandro Antonioli, responsabile crediti di Banca Etica.
Avete da poco presentato i risultati del vostro terzo studio sull’inclusione finanziaria, dal titolo “L’economia da ricostruire e le responsabilità della finanza”. Può riassumerci le principali evidenze che emergono? Qual è il livello di inclusione finanziaria attuale? e quali gli ostacoli da rimuovere per garantire a tutti adeguato accesso al credito?
Il livello di inclusione finanziaria in Italia – secondo la ricerca di Banca Etica che ha utilizzato i più recenti dati disponibili relativi al 2018 – è di circa 4 punti percentuali al di sotto del livello del 2012. Qualche timido segnale di miglioramento è osservabile tra 2017 e 2018, ma con la forte incognita di quali saranno, gli effetti della crisi da COVID-19 sulla vulnerabilità finanziaria di imprese e famiglie. In un’economia sana, il credito è efficiente, redistribuisce i saldi finanziari, favorisce opportunità per chi ha potenziale immateriale (competenze, capacità produttiva, talento, buone idee) ma non sufficienti risorse economiche. Banca Etica da 3 anni misura con indici sintetici l’inclusione finanziaria. Meno intermediari, meno sportelli, più concentrazione (cresciuta del 35% in Italia, del 50% in Spagna), forte riduzione dell’offerta di credito, crescita delle aree di vulnerabilità finanziaria, soprattutto per le persone più fragili: giovani, anziani, lavoratori autonomi. Banca Etica auspica che cresca la propensione delle autorità di supervisione, delle istituzioni con compiti di indirizzo, dei centri di ricerca e delle università ad adottare il punto di vista di chi è a rischio di esclusione.
Finanza etica: a prima vista sembrerebbe un ossimoro, ma a quanto pare non è così. Cosa rende la finanza “etica”? E cosa differenzia la vostra banca da una banca “normale”?
Banca Etica è nata a metà degli anni ‘90 da una rete di movimenti e cittadini che desideravano un istituto di credito che escludesse investimenti in settori nocivi per il pianeta e le persone come quelli in armi, petrolio, carbone. Ma sin dalla fondazione Banca Etica non si è limitata a escludere dai propri finanziamenti le imprese controverse, si è anche impegnata a erogare prestiti esclusivamente a realtà che esplicitamente si impegnano per ottenere impatti positivi sull’ambiente e la collettività.
Quali sono i settori e le iniziative che finanziate maggiormente? Che ruolo svolge nel vostro progetto di finanza etica il Microcredito?
Banca Etica propone strumenti per persone e famiglie (mutui, prestiti personali, etc) e per imprese e organizzazioni. Per quanto riguarda le imprese e le organizzazioni, prima di concedere il credito affianchiamo alla valutazione economica anche una valutazione degli impatti sociali e ambientali dei progetti per cui ci viene chiesto il finanziamento. Sosteniamo imprese e organizzazioni che si occupano di cooperazione e innovazione sociale; arte, cultura, sport e qualità della vita; tutela dell’ambiente; turismo responsabile, agricoltura biologica; imprese recuperate, etc.
Il nostro report di impatto ci permette di dire che – con i crediti erogati nel 2019 (a breve avremo i dati 2020) – Banca Etica ha finanziato imprese sociali e organizzazioni nonprofit che hanno: creato 9.800 nuovi posti di lavoro, inserito a lavoro 4.000 persone fragili, organizzato 4.100 eventi culturali cui hanno partecipato 885.000 persone, offerto una dignitosa accoglienza a 8.300 migranti, erogato servizi socio-assistenziali di cui hanno beneficiato 38mila persone, reso disponibili alloggi in social housing per 474 nuclei familiari, garantito a 138.000 persone di ricevere assistenza in progetti di cooperazione internazionale, coltivato quasi 5000 ettari a biologico producendo oltre 18.000 tonnellate di cibo biologico, riciclato 204.000 tonnellate di rifiuti e recuperato 87.000 tonnellate, prodotto 1 milione di m3 di acqua potabile, recuperato 11 imprese che stavano per fallire salvando 425 posti di lavoro, avvicinato allo sport 58.000 persone, installato 6MW di impianti ad energia rinnovabile, evitato emissioni per 4900 tonnellate di CO2, il 28% delle imprese finanziate da Banca Etica nel 2019 sono imprese femminili che hanno creato 1000 nuovi posti di lavoro e tra i prestiti a favore di persone fisiche il 44% ha riguardato donne e il 20% ha riguardato cittadini di origine straniera.
L’impegno che mettiamo nella rendicontazione trasparente di tutti gli impatti sociali e ambientali dei crediti erogati è qualcosa che ancora ci rende unici.
Lo scorso maggio avete diffuso il documento “Le proposte della finanza etica per una ripresa economica sana”. Quali sono gli interventi che ritenete necessari per affrontare la ripresa post Covid? E quali cambiamenti auspicate per il sistema finanziario?
Se davvero siamo consapevoli che i modelli finanziari, di produzione e di consumo prevalenti fino allo scoppio dell’epidemia non saranno replicabili, è tempo di ragionare su che futuro vogliamo (ri)costruire. C’è molto che si può e si potrà fare con provvedimenti di finanza pubblica (fondo salva-stati, politiche fiscali, recovery fund) e moltissimo altro che si potrebbe fare se anche la finanza privata fosse messa in condizione di abbandonare le logiche puramente speculative e fosse incoraggiata a veicolare le ingenti risorse dei risparmi e degli investimenti privati verso attività economiche capaci di creare occupazione nel rispetto dell’ambiente e dei diritti delle persone.
Nel documento elaborato dal CdA di Banca Etica ci sono proposte concrete, alcune delle quali sono rivendicazioni storiche del movimento della finanza etica, che oggi potrebbero finalmente trovare applicazione. Per dire basta al casinò finanziario in Europa si potrebbe: separare banche commerciali e di investimento; varare una tassa sulle transazioni finanziarie; contrastare seriamente i paradisi fiscali e varare una web tax.
Ecco qualche passo che si potrebbe fare per rafforzare la finanza etica:
- Rivedere i requisiti patrimoniali necessari per erogare un credito per favorire le imprese con impatti positivi.
- Usare le risorse dei fondi pensione per finanziare imprese italiane con comportamenti virtuosi.
- Sostenere microcredito e microfinanza.
- Migliorare l’Action plan sulla finanza sostenibile dell’UE – Per definire in modo chiaro quali prodotti finanziari possono definirsi “sostenibili” – cioè capaci di veicolare risparmi e investimenti di persone, imprese e organizzazioni verso progetti che proteggono l’ambiente e le persone – la Commissione UE ha avviato un percorso che ha portato all’adozione di un’apposita normativa, i cui primi tasselli entreranno in vigore proprio in questi giorni. Il movimento della finanza etica rileva però come nelle normative europee la “sostenibilità” è intesa quasi unicamente in chiave ambientale, mentre poco o nulla si dice riguardo gli aspetti sociali e di governance, le altre due gambe della tradizionale analisi sulla responsabilità di impresa. La proposta di normativa inoltre non fa alcun accenno al contrasto alla speculazione. Il rischio è che criteri troppo deboli possano svuotare la stessa idea di sostenibilità, permettendo operazioni di greenwashing.