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Le politiche economiche di un secondo mandato di Donald Trump

Stati Uniti fuori dall’OMS: le immediate conseguenze globali

L’uscita degli Stati Uniti dall’OMS evidenzia la fragilità di un sistema sanitario globale ancora troppo dipendente dalle logiche di potenza nazionali. Per l’Europa e l’Italia, la sfida consiste ora nel bilanciare l’ambizione di una maggiore autonomia con la consapevolezza che nessun attore, per quanto solido, può prescindere dalla cooperazione internazionale.

La nuova era Trump riparte dalle orme tracciate nella precedente amministrazione, quando in piena pandemia, il 7 luglio 2020, l’allora presidente firmò l’ordine di ritiro dall’Oms a causa “della sua incapacità di realizzare un processo credibile di riforma”. La successiva sconfitta elettorale bloccò il processo di uscita, sei mesi più tardi. Mantenendo fede alla promessa fatta nell’ultima campagna elettorale, nel giorno del suo insediamento, il nuovo capo della Casa Bianca ha decretato con un ordine esecutivo – nuovamente – l’uscita degli Usa dall’Oms, creando un clima di incertezza globale.

Una decisione, che come conseguenza diretta, vedrà l’Organizzazione Mondiale della Sanità, già a partire da quest’anno, costretta a fare a meno dei fondi elargiti dagli Stati Uniti, che oltre a essere tra i Paesi fondatori dell’OMS, sono di gran lunga il maggior finanziatore dell’Oms, con il 15,6% della quota legata ai contributi volontari.

Un’altra conseguenza, tutt’altro che secondaria, sarà il cambio ai vertici dei finanziatori: il posto in prima fila finirà nelle mani di due soggetti privati: la Bill and Melinda Gates Foundation e la Gavi Alliance.

La replica dell’OMS

Alla mossa di Trump, il direttore generale dell’Oms, Tedros Adhanom Ghebreyesus, ha reagito dapprima rimarcando “il ruolo cruciale dell’organizzazione nella protezione della salute e della sicurezza della popolazione mondiale” e poi invitando il presidente degli Stati Uniti, a ripensarci: “L’annuncio ha reso la situazione finanziaria dell’organizzazione ancora più grave”. Era stato infatti, lo stesso Ghebreyesus, nelle scorse settimane, a rivolgersi alla comunità internazionale con un’ulteriore richiesta di 1,5 miliardi, per poter far fronte alle crisi sanitarie senza precedenti.

Quella del tycoon non sembra tuttavia, una mossa meramente “scenografica”: anche se tra la firma del decreto e l’uscita vera e propria dall’organizzazione, ci vorrà un anno, la direzione intrapresa non sembra contemplare alcuna retromarcia.

Lo smantellamento dell’Usaid

Al contrario, dopo il taglio dei fondi all’OMS, Trump sta lavorando anche allo smantellamento dell’Usaid, a Washington, l’agenzia governativa statunitense, istituita nel 1961 da John F.Kennedy, e diventata la più grande macchina al mondo di aiuti civili. Un’altra mossa, che in un solo colpo, rischia di cancellare decenni di progressi nella prevenzione di malaria, HIV, malattie infantili e morte perinatale a livello globale.

Stati Uniti: un’assenza “ingombrante”

L’assenza degli Stati Uniti tra i finanziatori dell’Organizzazione Mondiale della Sanità appare chiaramente un vuoto incolmabile. Basta dare un’occhiata ai numeri per rendersene conto: gli Usa partecipano infatti con quasi 1 miliardo di dollari di contributi per il biennio 2024-2025, su un budget totale di 6,5 miliardi. A questi si aggiungono circa 2 miliardi di risorse legate a operazioni di emergenza o finalità specifiche.

Di tali fondi, il 42,6% veniva impiegato per la gestione delle emergenze sanitarie, mentre il 16,3% era volto a garantire l’accesso a servizi sanitari di qualità. Altre quote minori, altrettanto importanti, riguardano ad esempio la prevenzione delle epidemie e delle pandemie (8,2%), nonché delle emergenze sanitarie (4,9%).

Le “vittime” principali dei mancati fondi USA

Per comprendere quali saranno le prime “vittime” dei mancati fondi erogati da Washington, è sufficiente dare un’occhiata ai principali beneficiari: il primo è il continente africano (234,9 milioni di dollari), il secondo è la sede centrale di Ginevra (Svizzera), che nel biennio 2022-2023 ha beneficiato di fondi Usa per 222,4 milioni di dollari.

A rischio programmi sanitari e interventi internazionali

Molti programmi sanitari globali, come quelli di eradicazione della polio e dell’Hiv, sono ora a rischio. Nell’ultimo biennio, gli Stati Uniti hanno sovvenzionato la maggior parte delle spese del programma contro l’Aids e le altre malattie a trasmissione sessuale. Hanno inoltre coperto il 95% delle attività contro la tubercolosi in Europa e oltre il 60% delle operazioni contro la medesima malattia in Africa e nel Pacifico occidentale.

In pericolo sono anche gli interventi sanitari attualmente in corso in diversi Paesi dell’Africa, come quello in Tanzania, per bloccare i focolai del virus Marburg, in Uganda per fermare l’Ebola e nella Repubblica Democratica del Congo contro la Mpox. Oltre ai programmi strutturari in Medio Oriente, Ucraina e Sudan.

Un’opportunità per ridefinire la Sanità Globale?

L’addio degli Stati Uniti all’OMS, pur rappresentando una grave crisi – secondo alcuni esperti – potrebbe anche avere un risvolto positivo. Potrebbe costituire un’opportunità per ridisegnare la sanità pubblica globale. Per l’Europa e l’Italia in particolare, la sfida consiste nel bilanciare l’ambizione di una maggiore autonomia con la consapevolezza che nessun attore, per quanto solido, può prescindere dalla cooperazione internazionale. 

La posta in gioco non è soltanto economica, ma esistenziale: costruire un’architettura sanitaria resiliente è, ormai, prerequisito indispensabile per la stabilità dei mercati e la sopravvivenza delle economie avanzate.

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