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Operaio al lavoro su un'automobile

Dazi, Trump sferra un colpo all’automotive: chi pagherà il prezzo?

L’amministrazione Trump ha annunciato nuovi dazi del 25% sulle auto importate, una mossa che potrebbe stravolgere l’intero settore automotive. Tra costi in aumento, strategie di rilocalizzazione e possibili ritorsioni commerciali, l’industria globale si trova davanti a uno scenario incerto. Chi ne uscirà vincitore e chi, invece, pagherà il prezzo più alto?

Il 26 marzo 2025, il Presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ha annunciato l’introduzione di dazi permanenti del 25% su tutte le automobili importate, con entrata in vigore prevista per il 2 aprile 2025. Questa mossa, definita propagandisticamente da Trump come “l’inizio della liberazione dell’America“, mira a incentivare la produzione domestica e a rafforzare l’industria automobilistica nazionale. Secondo le dichiarazioni del Presidente, le aziende che produrranno veicoli negli Stati Uniti non saranno soggette a questi dazi, un incentivo volto ad attrarre e mantenere la produzione sul suolo americano.

Contesto e motivazioni dei dazi sull’automotive

L’introduzione dei dazi sulle automobili importate da parte dell’amministrazione Trump si inserisce in un più ampio disegno protezionista che mira a ridurre il deficit commerciale statunitense e a rafforzare la produzione manifatturiera nazionale. Il settore automotive è da tempo nel mirino della Casa Bianca, con il Presidente che ha più volte sottolineato come l’afflusso di auto straniere abbia danneggiato la competitività delle case automobilistiche americane, favorendo invece i produttori esteri.

Nel 2024, il valore delle importazioni statunitensi nel settore automotive ha raggiunto i 474 miliardi di dollari, di cui 220 miliardi relativi esclusivamente alle autovetture. I principali esportatori verso gli Stati Uniti sono il Messico, il Canada, il Giappone, la Corea del Sud e la Germania, con il Messico che gioca un ruolo di primo piano grazie agli accordi commerciali preesistenti e alla sua manodopera a costi contenuti. Le case automobilistiche internazionali hanno sfruttato questi vantaggi per delocalizzare la produzione in Nord America, approfittando della vicinanza geografica e delle condizioni economiche favorevoli.

L’amministrazione Trump ha giustificato l’imposizione di queste nuove tariffe sulla base dell’indagine condotta nel 2019 dal Dipartimento del Commercio, secondo cui le importazioni di automobili rappresentano una minaccia per la sicurezza nazionale. Il razionale dietro questa affermazione si fonda sull’idea che una dipendenza eccessiva dalle importazioni possa ridurre la capacità produttiva interna, rendendo il Paese vulnerabile in caso di crisi geopolitiche o di interruzioni delle catene di approvvigionamento. Sebbene questa tesi sia stata contestata da numerosi economisti, è servita da base giuridica per l’adozione dei nuovi dazi, che ora mirano a costringere le case automobilistiche a rilocalizzare la produzione negli Stati Uniti.

Ma ne vale la pena?

Tuttavia, la decisione di colpire con una tariffa del 25% le importazioni di tutto ciò che è automotive rischia di avere ripercussioni profonde non solo sui produttori stranieri, ma anche sulle stesse case automobilistiche americane. Molti colossi del settore, tra cui General Motors e Ford, dipendono da componenti prodotti all’estero e assemblati in impianti dislocati in diversi Paesi. L’applicazione dei dazi potrebbe dunque aumentare i costi di produzione anche per i marchi statunitensi, con conseguenti rincari per i consumatori finali e un’erosione della competitività dell’intero settore.

Infine, la misura potrebbe scatenare ritorsioni da parte dei partner commerciali colpiti, innescando una nuova ondata di guerre tariffarie. L’Unione Europea, la Cina e il Giappone hanno già lasciato intendere che potrebbero adottare contromisure, imponendo tariffe sui prodotti americani in settori strategici come l’aerospazio, l’agroalimentare e le tecnologie avanzate. Questo scenario alimenta l’incertezza sui mercati e rischia di creare nuove tensioni nei rapporti diplomatici tra gli Stati Uniti e i suoi principali alleati economici. ​

Impatto sull’industria automotive

L’introduzione di dazi del 25% sulle auto importate negli Stati Uniti rappresenta un evento spartiacque per l’industria automotive globale, con conseguenze che si faranno sentire lungo l’intera catena del valore. Se da un lato la misura è stata giustificata dall’amministrazione Trump come un incentivo alla produzione domestica, dall’altro è destinata a generare profonde ripercussioni economiche, colpendo produttori, fornitori e consumatori.

Le aziende automobilistiche internazionali, tra cui Volkswagen, BMW, Mercedes-Benz, Stellantis, Honda, Hyundai, Kia, Mazda, Toyota e Nissan, operano attraverso un sistema di produzione globale integrato, che sfrutta stabilimenti in diverse aree geografiche per ottimizzare i costi. Il Messico, ad esempio, è diventato un hub chiave per la produzione di veicoli destinati al mercato statunitense: nel 2024 ha prodotto circa 3,5 milioni di autovetture, con il 44% delle vendite di Volkswagen negli USA proveniente da impianti messicani e il 40% delle vendite di Stellantis originate da fabbriche situate tra Messico e Canada. Con l’imposizione dei nuovi dazi, questi produttori si troveranno di fronte a un dilemma: assorbire i costi aggiuntivi o trasferirli sui consumatori finali attraverso aumenti di prezzo.

Primi effetti

Un primo effetto immediato sarà un incremento generalizzato dei prezzi delle automobili importate, rendendo meno accessibili alcuni modelli di fascia media e alta. Il settore dei SUV e dei veicoli premium, dominato da marchi tedeschi e giapponesi, potrebbe subire un impatto particolarmente negativo, con un calo della domanda a causa dei prezzi più elevati. Secondo alcune stime preliminari, il prezzo medio di un veicolo importato potrebbe aumentare tra i 4.000 e i 10.000 dollari, con punte superiori per modelli di lusso e ad alte prestazioni.

Per le aziende che operano con margini già compressi, l’applicazione di dazi del 25% potrebbe comportare una riduzione degli utili compresa tra il 5% e il 15%, a seconda del livello di dipendenza dalle importazioni. Case come Toyota e Honda, che producono una parte significativa dei loro veicoli direttamente negli Stati Uniti, potrebbero subire un impatto più contenuto rispetto a marchi come BMW e Mercedes-Benz, che dipendono fortemente dagli impianti europei e messicani.

Ulteriori effetti dei dazi sul settore automotive

Un ulteriore effetto dei dazi sarà il possibile riassetto delle strategie produttive globali. Alcuni costruttori potrebbero decidere di spostare parte della produzione direttamente negli Stati Uniti per evitare le tariffe, ma questa non è un’opzione priva di costi. Costruire nuovi impianti richiede investimenti miliardari e diversi anni prima di entrare a regime, senza contare le incertezze legate alla possibilità di un cambio di amministrazione politica nel 2029 che potrebbe ribaltare nuovamente il quadro normativo.

Anche i fornitori di componenti del settore automotive saranno coinvolti in questa tempesta tariffaria. L’industria automobilistica moderna si basa su una catena di fornitura globale, con pezzi e moduli che attraversano più confini prima di essere assemblati in un veicolo finito. I dazi sulle automobili potrebbero essere estesi ai componenti, penalizzando aziende che producono motori, trasmissioni, elettronica e sistemi avanzati di assistenza alla guida in paesi come il Messico, il Canada, la Germania e il Giappone. Questo scenario potrebbe generare un effetto domino, con aumenti di costo che si rifletterebbero lungo l’intero settore automotive, rendendo meno competitivi anche i veicoli assemblati negli Stati Uniti.

Infine, l’impatto non sarà limitato ai produttori di automobili. Anche i concessionari e i consumatori finali dovranno affrontare le conseguenze delle nuove tariffe. L’aumento dei prezzi potrebbe portare a una contrazione delle vendite, soprattutto nel segmento delle auto di importazione. Questo, a sua volta, potrebbe avere effetti negativi sui livelli occupazionali nel settore della distribuzione automobilistica, che negli Stati Uniti impiega centinaia di migliaia di persone.

La risposta dei mercati e dei governi stranieri sarà cruciale nel determinare l’evoluzione della situazione. Se paesi come l’Unione Europea, il Giappone e il Messico risponderanno con contromisure tariffarie sui prodotti americani, il rischio di una guerra commerciale su vasta scala diventerà sempre più concreto, con possibili ripercussioni anche su altri settori economici.

Reazioni Internazionali

L’introduzione dei nuovi dazi sulle automobili importate da parte dell’amministrazione Trump ha innescato immediate reazioni a livello globale, con i principali partner commerciali degli Stati Uniti che hanno condannato la misura e minacciato ritorsioni. Il settore automotive è una delle industrie più interconnesse a livello internazionale, e qualsiasi perturbazione negli equilibri commerciali rischia di scatenare effetti a catena su scala globale.

Unione Europea: tra contromisure e diplomazia

L’Unione Europea è tra gli attori più colpiti dalla nuova politica tariffaria, poiché le case automobilistiche tedesche—BMW, Mercedes-Benz, Volkswagen, Audi e Porsche—esportano ogni anno negli Stati Uniti veicoli per un valore di oltre 40 miliardi di dollari. L’imposizione di un dazio del 25% su questi prodotti potrebbe ridurre drasticamente la competitività dei marchi europei sul mercato statunitense, costringendoli ad aumentare i prezzi o ad assorbire le perdite.

La Commissione Europea ha già annunciato che, in assenza di una revisione delle tariffe, verranno adottate misure di ritorsione nei confronti delle esportazioni statunitensi. Tra i settori presi di mira ci sono l’industria aerospaziale—con Airbus pronta a richiedere dazi su Boeing—e il comparto agroalimentare, con l’ipotesi di tariffe sulle esportazioni di whiskey, formaggi e carne bovina americana. Il Commissario europeo per il Commercio ha dichiarato che l’UE “non rimarrà inerte di fronte a un’aggressione economica di tale portata” e ha già avviato contatti con il WTO per valutare la legittimità della misura.

Giappone e Corea del Sud: alleati scomodi per Washington

Il Giappone e la Corea del Sud, due tra i più importanti partner commerciali degli Stati Uniti nel settore automobilistico, hanno espresso forte preoccupazione per la decisione di Washington. Toyota, Honda, Nissan, Hyundai e Kia esportano negli Stati Uniti milioni di veicoli ogni anno e hanno investito decine di miliardi di dollari nella costruzione di stabilimenti produttivi in America. Tuttavia, molti componenti chiave continuano a essere prodotti in Asia e successivamente assemblati negli USA. L’aumento dei costi derivante dai dazi metterebbe sotto pressione l’intero modello di business di queste aziende, spingendole a rivedere le proprie strategie industriali.

Tokyo e Seul hanno già minacciato di imporre restrizioni sulle importazioni di prodotti americani, con particolare attenzione al settore tecnologico e farmaceutico. Il governo giapponese ha inoltre avviato consultazioni con altre potenze economiche per costruire un fronte comune contro le politiche protezioniste statunitensi.

Messico e Canada: il rischio di una guerra commerciale in Nord America

Il Messico e il Canada sono due dei paesi più colpiti dalle nuove tariffe, poiché entrambi fanno parte dell’USMCA (United States-Mexico-Canada Agreement), l’accordo che ha sostituito il NAFTA. Il Messico, in particolare, è un hub cruciale per l’industria automobilistica nordamericana, con fabbriche di General Motors, Ford, Stellantis, Volkswagen, Nissan e altre case automobilistiche che producono veicoli destinati al mercato statunitense.

L’imposizione dei dazi rischia di vanificare gli investimenti fatti dalle aziende nei tre paesi dell’USMCA, mettendo sotto pressione il sistema di produzione integrato tra Stati Uniti, Messico e Canada. Il governo messicano ha già annunciato che presenterà un ricorso presso il WTO e che, in caso di mancata revoca delle tariffe, potrebbe rispondere con dazi su prodotti agricoli americani, inclusi mais, soia e carne bovina, settori fondamentali per l’economia statunitense.

Il Canada, dal canto suo, ha espresso preoccupazione per le possibili ripercussioni sulla propria industria automobilistica e ha lasciato intendere che potrebbe rispondere con dazi su prodotti simbolo dell’economia statunitense, come il bourbon e le motociclette Harley-Davidson.

Cina: un’opportunità per Pechino?

La Cina, pur non essendo tra i principali esportatori di automobili negli Stati Uniti, osserva con attenzione l’evolversi della situazione. I dazi imposti da Trump potrebbero infatti rappresentare un’opportunità per le case automobilistiche cinesi, che da anni tentano di espandere la loro presenza nei mercati occidentali. Con i prezzi delle auto giapponesi ed europee in aumento, alcuni brand cinesi potrebbero cercare di entrare nel mercato americano con veicoli elettrici a basso costo, sfruttando le difficoltà dei concorrenti.

Tuttavia, Pechino potrebbe anche sfruttare la situazione per rafforzare la propria posizione negoziale nelle trattative commerciali con Washington. Se gli Stati Uniti non faranno marcia indietro sui dazi, la Cina potrebbe colpire i settori in cui le aziende americane sono più vulnerabili, come la produzione di semiconduttori e il settore delle terre rare, materiali essenziali per la produzione di batterie per veicoli elettrici.

Verso una sicura nuova guerra commerciale?

L’insieme di queste tensioni lascia presagire uno scenario in cui il settore automotive diventa il fulcro di una nuova guerra commerciale globale. Se le ritorsioni da parte dell’UE, del Giappone, della Corea del Sud, del Messico e del Canada si concretizzassero, gli Stati Uniti potrebbero rispondere con ulteriori misure protezioniste, alimentando una spirale di dazi e contromisure che potrebbe avere effetti devastanti sulla crescita economica globale.

Gli analisti ritengono che, se la situazione dovesse degenerare, il mercato azionario potrebbe reagire negativamente, con un calo significativo delle quotazioni dei principali produttori automobilistici. Alcune case automobilistiche, come Ford e GM, stanno già valutando scenari alternativi per ridurre l’impatto delle tariffe, tra cui la diversificazione della produzione e la rinegoziazione dei contratti di fornitura con i partner esteri.

Nel frattempo, la Casa Bianca continua a sostenere che i dazi porteranno benefici a lungo termine all’industria automobilistica americana, spingendo le case produttrici a investire negli Stati Uniti. Tuttavia, la realtà è più complessa: sebbene alcune aziende possano essere incentivate a rilocalizzare parte della produzione, i costi elevati e le incertezze legate alla politica commerciale rendono difficile una transizione immediata.

Con il rischio di un’ulteriore escalation e la possibilità di nuovi dazi in settori strategici, la decisione dell’amministrazione Trump potrebbe avere conseguenze ben più ampie di quelle previste inizialmente. La comunità internazionale, nel frattempo, si prepara a rispondere, mentre l’industria automotive globale si trova ad affrontare una delle sfide più complesse della sua storia recente.

Possibili scenari futuri sull’automotive

L’imposizione dei nuovi dazi sulle importazioni di automobili da parte dell’amministrazione Trump potrebbe dunque innescare una serie di sviluppi con conseguenze di vasta portata per il settore automotive globale e per gli equilibri commerciali internazionali. Sebbene l’intento dichiarato della Casa Bianca sia quello di rafforzare l’industria americana, le dinamiche economiche complesse rendono incerta l’efficacia di tale misura. I possibili scenari futuri si articolano lungo diverse direttrici, che dipenderanno dalle risposte dei principali attori coinvolti e dalla capacità delle aziende di adattarsi al nuovo contesto.

Scenario 1: escalation della guerra commerciale e frammentazione del mercato

Nel caso in cui i dazi statunitensi non venissero ritirati e i partner commerciali rispondessero con contromisure di pari entità, il mondo potrebbe trovarsi di fronte a una nuova guerra commerciale su larga scala. L’Unione Europea, il Giappone, la Corea del Sud, il Canada e il Messico hanno già ventilato l’ipotesi di dazi di ritorsione su prodotti americani, colpendo settori chiave dell’economia statunitense, come l’industria aerospaziale, l’agroalimentare e la tecnologia.

Se questa dinamica dovesse proseguire, il mercato automobilistico globale potrebbe frammentarsi in blocchi commerciali distinti, in cui le principali economie privilegiano rapporti con partner meno soggetti a barriere tariffarie. Ciò potrebbe portare a un rallentamento degli investimenti nei mercati tradizionali e a una rilocalizzazione della produzione verso paesi meno esposti a misure protezionistiche. Le case automobilistiche europee potrebbero rafforzare la loro presenza in Cina e Sud America, mentre le aziende giapponesi e coreane potrebbero intensificare la cooperazione con i paesi del Sud-Est asiatico.

In questo scenario, l’industria statunitense potrebbe subire conseguenze negative, con un aumento dei costi di produzione dovuto alla minore disponibilità di componenti importati e alla riduzione dell’accesso ai mercati esteri per le proprie esportazioni.

Scenario 2: accordi bilaterali e concessioni selettive

Un’altra possibilità è che, di fronte alla pressione internazionale e alle ripercussioni economiche, l’amministrazione Trump scelga di negoziare accordi bilaterali con i principali paesi colpiti dai dazi. Già in passato, Washington ha utilizzato questa strategia per ottenere concessioni commerciali da partner strategici senza dover necessariamente ritirare le misure protezionistiche.

In questo contesto, l’Unione Europea potrebbe negoziare un’esenzione parziale per i veicoli prodotti in impianti americani di proprietà di aziende europee, come quelli di BMW e Mercedes-Benz negli Stati del Sud. Allo stesso modo, il Giappone e la Corea del Sud potrebbero ottenere un trattamento di favore in cambio di investimenti in nuove fabbriche negli Stati Uniti.

Questa soluzione, però, rischierebbe di creare distorsioni nel mercato e potrebbe non essere sufficiente a placare le tensioni internazionali. Inoltre, la rilocalizzazione forzata della produzione potrebbe generare costi elevati per le aziende, con effetti negativi sulla competitività del settore.

Scenario 3: riorganizzazione delle catene di approvvigionamento e accelerazione dell’innovazione

Un effetto collaterale dei dazi potrebbe essere la spinta delle case automobilistiche a riorganizzare le proprie catene di approvvigionamento, riducendo la dipendenza dalle importazioni e investendo in tecnologie che riducano l’impatto dei costi produttivi.

Le case automobilistiche europee e asiatiche potrebbero decidere di aumentare la produzione negli Stati Uniti per evitare le tariffe, con investimenti in nuove fabbriche e l’assunzione di manodopera locale. Tuttavia, questa strategia richiederebbe anni per essere implementata e non risolverebbe il problema dell’accesso ai componenti critici, molti dei quali provengono ancora da altri paesi.

Allo stesso tempo, il settore potrebbe accelerare la transizione verso veicoli elettrici e soluzioni di mobilità alternative. Se i costi di importazione delle automobili tradizionali dovessero aumentare, i produttori potrebbero investire più aggressivamente nello sviluppo di nuove piattaforme elettriche e nella produzione locale di batterie, riducendo la necessità di importare componenti soggetti a dazi.

In questo scenario, le aziende più innovative potrebbero trarre vantaggio dalla situazione, mentre quelle che non riuscissero ad adattarsi rapidamente rischierebbero di perdere quote di mercato.

Scenario 4: pressioni interne e revisione della politica tariffaria

Infine, non si può escludere che l’opposizione interna ai dazi spinga l’amministrazione statunitense a rivedere la propria posizione. L’industria automobilistica americana stessa ha manifestato molta (logica) preoccupazione per l’impatto delle tariffe, e i consumatori potrebbero reagire negativamente all’aumento dei prezzi delle auto.

Se i dati economici dovessero evidenziare un calo nelle vendite di veicoli e un rallentamento dell’industria manifatturiera, la Casa Bianca potrebbe essere costretta a rivedere almeno parzialmente la misura, magari introducendo esenzioni per alcuni paesi o categorie di veicoli.

In questo contesto, un cambio di amministrazione nelle elezioni presidenziali successive potrebbe portare a un’inversione di rotta, con un ritorno a politiche commerciali più aperte e alla ricerca di accordi multilaterali.

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