Donald Trump sarà il nuovo presidente degli Stati Uniti, dopo un’accesa campagna elettorale vinta contro la vicepresidente democratica Kamala Harris. Il programma economico del tycoon è, come già si sapeva, orientato a una politica protezionista. Ad oggi, gli interrogativi riguardano soprattutto le conseguenze per l’Europa e per il resto del mondo se Trump dovesse mantenere fede alle sue promesse.
Chi mi conosce lo sa, non parlo spesso di politica e, ammetto, non mi piace nemmeno farlo.
Nonostante questo, il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca è un argomento difficilmente evitabile, considerato il peso mediatico e non solo del “personaggio” di cui stiamo parlando, e le modalità con cui si è imposto (stravincendo) nelle imminenti elezioni.
Come ogni volta, le elezioni presidenziali USA sono seguite con grande attenzione, non solo negli Stati Uniti, ma anche nel resto del mondo. Da un lato c’era Trump, già presidente dal 2017 al 2021, e dall’altro Kamala Harris, vicepresidente del governo Biden.
I programmi elettorali dei due candidati si ponevano obiettivi molto differenti per quanto riguarda l’economia americana. Alla fine, il 5 novembre scorso, ad avere la meglio è stato Trump, che nella sua Agenda 47 ha promesso agli americani di dare continuità alle politiche pro-business avviate durante il suo primo mandato. Tra le sue priorità figurano la riduzione delle tasse per rafforzare il settore finanziario statunitense, la deregolamentazione del settore bancario e l’adozione di dazi su vasta scala per proteggere l’industria a stelle e strisce.
Questo ritorno al protezionismo (una tendenza già vissuta durante la sua prima presidenza) punta a promuovere l’autosufficienza economica degli USA, destando qualche preoccupazione per il futuro degli altri Paesi, europei e non solo. Quale impatto avranno, infatti, le politiche di Trump sul panorama economico globale?
Finora, la maggior parte dei quotidiani si è soffermata sull’aumento dei dazi doganali. Tutti i prodotti esteri importati negli Stati Uniti arriverebbero a costare almeno il 10% in più, con la Cina che toccherebbe un picco del 60%. Questa misura, pensata per proteggere l’industria americana, rischierebbe di creare tensioni commerciali e di penalizzare profondamente l’economia degli altri Paesi, rendendo meno competitivi i loro prodotti.
Concentrandoci sul nostro Paese, ad esempio, saltano all’occhio alcune statistiche. L’Italia è il secondo paese europeo per esportazioni verso il mercato americano. Nel 2022 l’Italia ha esportato merci negli Stati Uniti per un valore di 65 miliardi di euro. Di conseguenza, un aumento dei dazi rischierebbe di scoraggiare fortemente l’ingresso dei prodotti italiani, minacciando la competitività del Made in Italy. Tradotto in numeri, si parla di oltre 4 fino a oltre 7 miliardi di dollari di costi aggiuntivi.
Una situazione del genere potrebbe portare conseguenze ancora più dannose, non solo a livello globale, ma anche per gli Stati Uniti stessi. Non è detto, infatti, che i Paesi esteri decidano di abbassare il capo e accettare le politiche di Trump. Al contrario, potrebbero reagire con misure simili, penalizzando di rimando gli USA, come accadde durante lo scorso mandato del tycoon. Ai dazi americani su acciaio e alluminio, infatti, l’UE rispose con ulteriori dazi alle esportazioni statunitensi.
Queste dinamiche potrebbero spingere verso nuove guerre commerciali che andrebbero a provocare ulteriori effetti negativi ad un’economia globale già indebolita dalle ultime guerre in corso. Ovviamente, queste sono soltanto supposizioni e al momento, nonostante qualche preoccupazione, tra i principali governi del mondo vige la moderazione e la diplomazia.
Tuttavia, gli effetti della seconda presidenza Trump li vedremo sicuramente nei prossimi mesi. Anche rispetto alle guerre “vere e proprie” in Ucraina e Medio Oriente, dove tutti speriamo di non raggiungere più nuovi picchi di escalation di morte e distruzione.
Alla prossima!