Due sono i fatti che hanno caratterizzato il settore del recupero dei crediti negli ultimi anni:
1. L’intervento dell’ AGCM che a partire dal 2012 ha iniziato ad indagare sul settore individuando certe pratiche di recupero come “pratiche commerciali scorrette”
2. La sempre crescente presenza di società internazionali interessate ad acquisire i nostri crediti da banche e finanziarie
Entrambi questi fenomeni rendono necessario allargare la nostra visione e conoscenza del comparto al di là dei confini nazionali. Infatti l’AGCM è stata creata su impulso della normativa comunitaria; la legge che la istituisce esplicitamente richiede che l’interpretazione della normativa venga effettuata secondo i principi dell’ordinamento comunitario. Nello specifico la fonte normativa è il Codice del Consumo che recepisce le direttive comunitarie. Analoghe considerazioni possono riguardare le disposizioni in materia di privacy. Ci si dovrebbe aspettare quindi che le stesse norme vengano declinate in modo univoco in ogni paese.
Quanto ai players internazionali che si affacciano sul mercato occorre distinguere tra i fondi e i gruppi multinazionali. I primi hanno un approccio opportunistico all’acquisto dei crediti in sofferenza, focalizzati sul ritorno dell’investimento affidano la gestione a servicer locali, mentre i secondi esercitano la stessa attività di acquisto e di gestione in una pluralità di paesi e sono mossi da logiche imprenditoriali di medio-lungo periodo. Operano in paesi in cui il rispetto dei diritti dei consumatori e le regole introdotte per garantirli sono consolidati nel tempo; sono dotati di strutture articolate e complesse, conformi alle norme dettate dagli organismi di vigilanza dei rispettivi paesi. Conoscere le prassi, i regolamenti dei paesi in cui esercitano la loro attività può aiutarci a comprenderli meglio.
Una recente indagine di Intrum Justitia ha rilevato come i ritardi di pagamento abbiano ovunque ricadute negative sull’intera società in termini occupazionali, oltre al fatto che l’onere dei debiti i di alcuni consumatori o di alcune imprese si traduce inevitabilmente in maggiori costi per gli altri consumatori ed imprese ed in una restrizione del credito erogato.
Questi motivi per cui molti ordinamenti europei richiamano il principio della responsabilità del cliente nell’ottemperare alla propria obbligazione. Nel contempo avanza la consapevolezza che la responsabilità nell’ assumere obbligazioni di natura finanziaria presuppone l’effettiva conoscenza di tali prodotti, dei costi a cui si va incontro in caso di ritardato pagamento nonché una capacità di prevedere la possibilità di rimborso rispetto alle proprie finanze. Una educazione finanziaria diffusa è il presupposto della responsabilità.
Parallelamente alla responsabilità del debitore si afferma il principio del “responsible lending”. In tutti i paesi Europei si condivide il fatto che il credito sia il motore dell’economia e quindi debba essere tutelato e stimolato, ma l’esperienza del decennio scorso ha reso evidente che quando il motore si surriscalda l’economia… schianta. Sarà per questo motivo che il paese liberista per eccellenza, il Regno Unito, patria della deregulation, che si è ripreso ormai da cinque anni dalla crisi con importanti tassi di crescita del reddito e del credito erogato, sembra essersi dotato di authorities molto attive. La FCA, Financial Conduct Authority, rappresenta una sintesi tra le prerogative della Banca d’Italia e quelle della AGCM: infatti persegue l’obiettivo della stabilità del mercato finanziario e del suo ottimale funzionamento finalizzato all’ottenimento da parte del consumatore di una transazione commerciale equa. Proprio perché il consumatore riveste un ruolo centrale, l’authority autorizza e vigila sull’attività non solo delle finanziarie, delle banche e delle assicurazioni ma anche sulle società di recupero crediti e sui cessionari. L’authority è indipendente, finanziata dai propri “vigilati”, circa 70.000, risponde sia al Ministero del Tesoro che al Parlamento. Ha poteri molto ampi quali concedere l’autorizzazione all’esercizio dell’attività e/o sospenderla; può imporre il rimborso di somme a favore dei consumatori a titolo di indennizzo e stabilire addirittura dei massimali ai tassi di interesse, alle spese e al numero di volte che un debito viene ristrutturato, come avvenuto di recente per i presiti di piccolo importo e breve scadenza. Non a caso, quindi, nel Regno Unito il settore del recupero crediti vede un’ associazione di categoria che raggruppa gli istituti di credito, le società di recupero crediti, le cessionarie e gli infoprovider, in sostanza tutti gli operatori dell’industria. In questo modo per esempio, possono essere condivise alcune regole di comportamento quali la continuità nella gestione del credito in caso di cessione oppure la pluralità delle fonti informative al fine di una corretta identificazione del debitore. Da queste poche righe emerge come siano distanti le realtà dell’industria fra Italia e Regno Unito.
In conclusione, se le norme che regolano il settore derivano da direttive Europee, se cresce il peso degli operatori che hanno natura multinazionale, non possiamo che auspicare una convergenza dell’interpretazione di tali norme e dei sistemi che tali norme regolano. Importante quindi, come proposto dal Forum Unirec-Consumatori, la costituzione di un tavolo finalizzato all’analisi del comparto del recupero in ogni paese europeo volto ad individuare quali sono le authorities e quali prerogative hanno, quali le associazioni di categoria, quali gli operatori, quali prassi nel recupero vengono adottate. Questa potrebbe essere la premessa per promuovere una convergenza dei sistemi… per una Maastricht del recupero.
articolo a cura di Maria Grazia Pacifico Credit Manager esperta NPL |
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