Dalla digitalizzazione alla gestione degli Npl, i consulenti di EY fanno il punto sulle trasformazioni negli istituti di credito figlie del COVID-19
Il coronavirus ha innescato o accelerato numerosi cambiamenti in vari settori della nostra economia. Vale anche per le banche. Abbiamo fatto il punto con Fabio Bartolini, Senior Manager – EY Studio Legale Tributario, Litigation Department e Paolo Zamparelli, Associate Partner Assurance – FAAS, Managed Services Solution Leader for Italy di EY.
Quali cambiamenti ai processi interni e legali delle banche ha innescato il coronavirus?
Zamparelli: Il coronavirus è arrivato in un momento di trasformazione, innescata da due interventi legislativi. Secondo la direttiva europea in materia di crediti deteriorati, le banche devono contabilizzare e valutare i propri crediti attraverso il principio di calendario (calendar provisioning). Ne consegue che la valutazione del credito sarà vincolata al trascorrere del tempo, non a criteri soggettivi; il credito chirografario che la banca poteva giudicare recuperabile, nel caso in cui lo stato di insolvenza superi il triennio, è da svalutare al 100% anche nel caso in cui il credito sia completamente recuperabile. Parallelamente, in Italia sta per entrare in vigore il Codice della crisi di impresa, che tra le varie novità introdotte prevede la procedura di allerta ed emersione anticipata della crisi d’impresa, attraverso le quali le aziende devono dotarsi di strumenti per pianificare e monitorare la sostenibilità nel settore in cui operano. Lo strumento è un unicum nel panorama europeo; esiste una struttura simile in Francia, ma non è obbligatoria. Il punto di contatto tra disciplina degli Npl europea e sistema di crisi di impresa italiano si rinviene nel fatto che, a seconda di come saranno interpretati gli indicatori della crisi nell’ambito delle procedure di monitoraggio, si avranno diversi esiti. Se le interpretazioni saranno deboli, la norma di fatto cadrà nel vuoto; d’altro canto, un eccesso di zelo e rigore nel delineare gli indicatori di crisi può portare a un eccesso di fallimenti di aziende che, nello scenario ante-coronavirus, sarebbero state viste come aziende in crisi temporanea e non insolventi. A questo punto occorrerebbero dei meccanismi correttivi della norma, anche perché gli interventi di sostegno varati dal Governo hanno escluso le imprese che già versavano in stato di crisi pre-coronavirus. Per loro sono stati solo sospesi i termini delle procedure avviate. Ma non tutte le imprese in crisi sono destinate al fallimento; alcune hanno solo bisogno di sostegno e se la banca non potrà offrirlo, ci sarà un effetto domino sul funzionamento del mercato.
Dobbiamo quindi aspettarci una stretta sul credito a seguito dei fallimenti innescati dal coronavirus e del connesso aumento di Npe? Zamparelli: Non necessariamente, ma le banche adotteranno criteri più severi per valutare il merito di credito, anche in considerazione dell’obbligo di procedere ad accantonamenti obbligatori, che costituiscono un vincolo ulteriore per la banca. Tutti gli operatori di mercato hanno criticato la norma sul calendar provisioning e l’hanno sottoposta all’attenzione europea, chiedendone quanto meno il differimento, visto che dovrebbe entrare in vigore a gennaio 2021, innescando un mix esplosivo con le norme sulla crisi d’impresa.
Il coronavirus sta favorendo la digitalizzazione di vari settori in Italia. Accadrà anche per le banche?
Zamparelli: La crisi favorirà senz’altro il fintech e la digitalizzazione delle banche italiane.
Come ha cambiato la gestione degli Npl, visto l’ondata di Npe che sta creando?
Bartolini: Sarà cruciale il concetto di gestione del credito. L’attività di recupero fa parte della gestione del credito, ma il servicer che focalizza la sua attenzione solo sul recupero in quanto tale non interpreta correttamente la sua funzione. Concentrarsi solo sul recupero a breve termine presuppone una metodologia aggressiva nei confronti del debitore che a sua volta comporta la distruzione di ricchezza attuale e potenziale, con effetti a lungo termine pregiudizievoli su tutto il mercato. Nel gennaio 2020 è stato pubblicato uno studio comparato europeo sulle modalità aggressive di recupero del credito e sul loro impatto sulla dignità del debitore persona fisica. Già prima della emersione della pandemia, era quindi in corso una discussione sulla necessità di armonizzare a livello europeo soggetti e modalità comportamentali nel settore del recupero del credito; il tema, passato ora in secondo piano, tornerà in auge nel 2021, in quanto occorrerà riflettere su come consentire al debitore di poter nuovamente accedere al mercato produttivo per poter onorare i propri debiti. L’attenzione dell’operatore dovrà quindi rivolgersi a quegli strumenti gestori che consentiranno il recupero del credito senza privare il debitore dei mezzi necessari alla sua permanenza sul mercato. Un esempio virtuoso si ha già nel mercato delle Telco: il recupero del credito di queste aziende avviene secondo direttive che tendono ad identificare l’ex cliente moroso come un possibile futuro nuovo cliente. Le attività di recupero, pertanto, per quanto persuasive, non sfociano mai in una aggressione nei confronti del patrimonio del debitore. In questo contesto, dobbiamo anche evidenziare come le dinamiche connesse alle metodologie di recupero sono spesso oggetto di critica da parte dei tribunali, che arrivano a sanzionare attività di recupero giudicate eccessive e sproporzionate.
Quali altri cambiamenti ha portato il coronavirus nelle banche?
Bartolini: E’ prematuro fare previsioni in un mercato ancora intorpidito dagli interventi di sostegno del governo. Non sappiamo come reagirà l’economia quando verranno meno il divieto di licenziamento, la cassa integrazione e le varie moratorie. Non abbiamo a disposizione dati sufficienti per elaborare previsioni.